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L’Archivio inclusivo
La consapevolezza che la dimensione culturale e quella sociale siano legate a doppio filo e, più in particolare, che le istituzioni culturali possano esercitare un impatto positivo sulla vita degli individui e delle comunità, è tutt’altro che cosa nuova. Ma è solo da qualche anno a questa parte, soprattutto grazie al forte impulso delle politiche comunitarie, che sta prendendo piede una tesi all’apparenza ben più radicale, ovvero che gli enti culturali possano agire come veri e propri veicoli di lotta all’esclusione sociale, laddove per “esclusione” si intende «un processo dinamico che preclude del tutto o in parte all’individuo la possibilità di partecipare a quei sistemi sociali, economici, politici e culturali che determinano la sua integrazione nella società».
Con questo non si vuole affermare che la lotta al disagio sociale debba diventare la finalità principale di archivi, biblioteche e musei, ma piuttosto che essi hanno il dovere di contribuire a questa lotta, perché è ormai ampiamente riconosciuto che l’esclusione culturale può alimentare altre forme di esclusione, con gravi ripercussioni sui segmenti più fragili della società.
Un dovere che, con il passare degli anni, nel caso di Fondazione Ansaldo è sempre più sentito, perché sempre più forte è il legame che la unisce al suo territorio, Genova e più specificatamente le zone industriali della Val Polcevera e del Ponente, al contempo cuore produttivo della città e periferia a forte rischio degrado. Quasi un debito morale in quanto, dacché Fondazione Ansaldo è stata costituita ormai più di vent’anni fa, attraverso ripetute e costanti attestazioni di fiducia da parte delle imprese e delle comunità che su questo territorio si sono insediate, è stata scelta per essere custode, erede e beneficiaria dell’enorme patrimonio di conoscenza generato negli ultimi due secoli dal mondo del lavoro, permettendo alla Fondazione di ampliare notevolmente gli archivi e la documentazione conservata, di incrementare e diversificare così attività ed eventi, tutti con un’ottima risposta da parte del pubblico, generando quindi un circolo virtuoso in cui tutte le parti coinvolte possono godere delle ricadute positive, materiali e immateriali, delle diverse iniziative culturali. Un debito non da poco che impone riconoscenza e un ritorno in termini di servizi per la collettività.
Ma quali sono gli ostacoli che impediscono a coloro che vivono situazioni di disagio, fragilità o a rischio di esclusione di partecipare alla vita culturale della comunità? Semplificando molto, sono tre i principali ambiti di esclusione: l’accesso, la partecipazione e la rappresentazione.
L’accesso rappresenta il primo passo verso strategie più complesse e articolate di inclusione sociale e culturale, e dimostra come le istituzioni culturali siano tutt’altro che soggetti neutrali: qualsiasi archivio, biblioteca, teatro o museo non impegnato nell’abbattimento delle barriere all’accesso, le sta di fatto mantenendo nel concreto. Tradizionalmente, le problematiche di ingresso sono state per lo più associate a ostacoli architettonici ed economici (che peraltro rappresentano ancora oggi uno dei principali limiti, soprattutto nel caso delle fasce di utenza svantaggiate), mentre solo di recente si è prestata maggiore attenzione a tipologie più “immateriali”, quali quelle culturali (per esempio la percezione delle istituzioni culturali come luoghi esclusivi, riservati ad un pubblico specialista, colto e sofisticato, e il rifiuto di determinate forme di espressione culturale, ritenute di scarso interesse o come una perdita di tempo) e tecnologiche (mancato utilizzo degli strumenti offerti dall’informatica, dal web e dalla comunicazione per potenziare l’accesso al patrimonio di conoscenze).
Fondazione Ansaldo ha già compiuto passi considerevoli per potenziare l’accesso ai propri archivi, soprattutto da remoto, portando avanti importanti progetti di digitalizzazione (Fotografia e Industria dal 2015 al 2021 e Archimondi dal 2021 tutt’ora in corso), che nel loro complesso hanno portato alla pubblicazione on line di oltre 40.000 immagini fotografiche relative all’Ansaldo e alla Costa Armatori (soprattutto negativi su lastra di vetro, supporti fragilissimi che non possono essere né fruiti né valorizzati se non digitalizzati) e di undici tra gli archivi e raccolte più consultati tra quelli conservati in Fondazione. Alla base di questi progetti c’è la considerazione che un archivio digitalizzato è di fatto un archivio inclusivo, in quanto grazie al processo di digitalizzazione vengono materialmente annullate problematiche quali la distanza fisica dal luogo dove un archivio è conservato, il tempo necessario a raggiungerlo e gli eventuali costi per raggiungerlo, aprendo così di fatto quell’archivio a un pubblico potenzialmente infinito.
Ma l’accesso, per quanto fondamentale, non basta. Esso viene ancora troppo spesso interpretato come un processo unidirezionale: l’istituzione culturale “apre le porte” a pubblici diversi da quelli “tradizionali”. Questione più complessa è coinvolgere attivamente questi pubblici (e più in generale le comunità di riferimento) in un processo concreto di progettazione partecipata.
Per eliminare le barriere alla partecipazione (in particolare ai processi creativi e alla costruzione di contenuti), Fondazione Ansaldo ha saputo cogliere l’offerta di collaborazione proveniente da parte di uno dei suoi principali stakeholder nonché socio fondatore, il Comune di Genova, attivando percorsi “finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone e alla riabilitazione” in favore di quelle fasce di popolazione più deboli economicamente e uscite loro malgrado dal mercato del lavoro. Un accordo simile è stato inoltre sottoscritto con Is.For.Coop., un’associazione molto attiva sul territorio che si occupa di erogare formazione a soggetti con disabilità. Nel concreto, le persone che arrivano in Fondazione grazie a questi percorsi vengono reinserite - o inserite ex novo - in un ambiente di lavoro il più possibile sano e creativo, dove possano esprimere le loro attitudini e potenzialità, e, dopo un’adeguata formazione che gli fornisce strumenti e nozioni di base per poter svolgere le loro mansioni, vengono impiegate nel processo di digitalizzazione degli archivi che diviene a sua volta strumento di inclusione sociale.
Un ulteriore ambito di esclusione riguarda invece la mancata o distorta rappresentazione di determinati segmenti della collettività nelle attività portate avanti da un ente culturale. Iniziative percepite come troppo elitarie, erudite o destinate a un gruppo circoscritto di specialisti possono alimentare in alcune fasce della società un senso di distanza e di estraneità, arrivando persino a manifestazioni di vero e proprio rifiuto verso forme e contenuti culturali ritenuti poco rappresentativi e quindi poco interessanti. È dunque fondamentale che archivi, biblioteche e musei, e più in generale qualunque operatore in ambito culturale, nella pianificazione e nella progettazione delle proprie attività si aprano alle istanze provenienti da tutte le compagini sociali del territorio. Maggiore è la capacità di ascolto di queste istanze, maggiore sarà il grado di inclusività delle strategie culturali che si vogliono portare avanti.
Alla luce di queste considerazioni, Fondazione Ansaldo ormai da tempo non porta più avanti iniziative che siano solo mere operazioni di memoria o di ricostruzione storica. Accogliendo i suggerimenti provenienti da un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo e dandogli ampio spazio sul proprio sito e sui social, grazie a rubriche e sezioni appositamente pensate per ospitare articoli, contributi e ricerche scritte dall’utenza, Fondazione Ansaldo vuole creare un dialogo tra generazioni e fasce sociali diverse, una trasmissione di esperienze, una commistione di linguaggi. Rendere più forte questo legame tra le varie componenti della collettività significa dare vita a un nuovo laboratorio di comunicazione e di inclusione sociale, ancor più importante nel periodo storico e nella società attuale in cui i fattori divisivi sembrano superare gli elementi di coesione.
Fondazione Ansaldo
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