#Storiedaraccontare
Grandi crociere d’agosto 1980-1982 con la T/N Eugenio C.: una palestra di vita
Devo ammettere di aver avuto il privilegio e la fortuna di far parte della grande famiglia Costa, giusto qualche annetto fa’. Correva l’anno 1978 e mio padre, grande estimatore della balena bianca, mi chiese: “Gianluca, ti piacerebbe girare il mondo sull’ammiraglia della flotta Costa, la Eugenio C.?”
Non avevo fatto nemmeno in tempo ad annuire, che mi son ben presto ritrovato in uno studio medico per l’arruolamento della gente di mare a Genova a gambe divaricate e piegato a 90° per la visita di rito. “Abile e arruolato, firma qui il contratto per due mesi come… come piccolo di camera, poi si vedrà!”
Gianluca Messineo sulla tolda dell’Eugenio C., 1980
All’epoca ero un provetto e diligente studente di ingegneria a Pisa, in via Diotisalvi, ma avevo da sempre coltivato la passione per il mare e soprattutto per gli ozi di crociera, di cui da tempo sentivo favoleggiare. L’anno precedente ero appena uscito maturo dal liceo scientifico del prestigioso Collegio Navale F. Morosini, di Venezia, una vera palestra di vita, con regole ferree da seguire ed altrettanto regole per evitarle e non scritte da “sgamone”. A 18 anni, sapevo già abbondantemente come cavarmela egregiamente.
Era il 7 Agosto 1980 quando a Genova al Ponte dei Mille, salii per la prima volta a bordo di questo gigante d’acciaio, tirato a lucido e con il pavese orgogliosamente in bella mostra, pronto per partire il giorno seguente per la grande crociera di un mese intero ai Caraibi. Il cuore mi batteva a mille per l’emozione e gli occhi gironzolavano a destra e manca, per cogliere tutte le sfumature, fisiche e tattili della nave e umorali dei commissari di bordo che ci impartivano le prime disposizioni lavorative. Mi era stata assegnata una cabina a sei posti per tripulantes al ponte C, quello appena sotto il livello del mare, da condividere con altri ragazzi universitari più o meno coetanei.
Mi vestii con la divisa d’ordinanza da piccolo di camera, con livrea bianca ancora intonsa, pantaloni neri lucenti e spalline dorate e mi presentai subito dal mio responsabile. In dieci minuti o poco più, mi furono impartite una nutrita serie di mansioni e di disposizioni da seguire alla lettera. Fortuna che all’epoca ero pluri-neuronale e non fu poi così difficile da memorizzarle, nonostante l’ambiente di lavoro fosse per me completamente nuovo ed ancora tutto da scoprire. Poiché il mio DNA mi porta ad essere un accumula-tore e non uno sparpaglia-mucche, non fu difficile rompere subito il ghiaccio con i miei colleghi più scafati e organizzarmi a dovere il lavoro.
Gianluca Messineo in tenuta da cameriere sulla Eugenio C., 1981
Ero stato incaricato di servire la truppa ed alcuni passeggeri del ponte C a colazione, rifare le loro cabine, restare a disposizione per eventuali necessità mattutine, nel pomeriggio seguire il bingo (muovere dei cavallini di legno su una pista) e ritornare al “ponte Inferno” per eventuali richieste. Un po' soffrivo, perché vedevo il mare dagli oblò solamente quando andavo a ritirare per i clienti prosciutto e melone ed altre diavolerie culinarie al carmangè, per il resto solo muri e corridoi chiari. Dopo soli tre giorni, la fortuna mi arrise: poiché mi annoiavo, la mattina presto ero uso bussare direttamene alle porte dei passeggeri per carpire in anticipo le ordinazioni e questo fece infuriare il mio capo diretto, che mi portò dritto dritto dal commissario di bordo. “Ah, ma Lei è…, bene, la trasferisco al ponte Sole! Dagli abissi alle stelle!
Il mio nuovo ruolo sarebbe stato quello di addetto alle piscine del ponte Sole, ovvero preparare il buffet mattutino, sistemare per benino tutte le sdraio e le cabine esterne per le docce, imbandire la tavola per il light lunch (che poi tanto light non era proprio per nulla), supervisionare le attività dei giochi in piscina, servire gli antipasti durante le cene al ristorante di 1° Classe ed infine… fare l’aiuto prestigiatore, il valletto insomma, durante gli spettacoli serali. Lavoravo accanto al mago, una persona squisita, che imitava perfettamente il grande Mike Buongiorno. Ebbene in tutta la crociera non sono mai riuscito a carpire i suoi trucchi, persino quello più semplice della colomba!
Talvolta alla sera, venivo chiamato per integrare il personale durante le serate con la sorpresa di mezzanotte dello chef. E poi, … e poi non ancora esausto… mi cambiavo in vestiti borghesi e andavo in… discoteca, come un normale passeggero! Non era certo consentito, ma ora si può dire. Alle sei di ogni mattina, ero nuovamente sulla breccia, per ripartire con le mansioni di addetto piscine al ponte Sole.
Piscina della turbonave Eugenio C., Archivio Costa, Fondazione Ansaldo
Vi risparmio volentieri alcuni dettagli, ma …. mangiavo cose buonissime, spizzicando di qua e di là, più volte al giorno, eppure alla fine della crociera ero dimagrito di ben cinque chili! Abbronzantissimo, di un colore che solo il sole dei Caraibi è in grado di offrire, ero persino piuttosto gettonato, anche perché sempre disponibile, galante e con il sorriso a 32 denti!
La mia fortuna poi era anche il fatto che in porto, le piscine erano spesso chiuse, e quindi, potevo partecipare alle escursioni dei passeggeri, dove ero tra i primi tripulantes che si presentavano in commissariato come volontari. Le spiagge di Barbados, Aruba, Cozumel in Messico e Bermuda erano veramente splendide. Conservo ancora viva nei miei occhi l’immagine delle altissime rampe di lancio NASA di Cape Canaveral e le modernissime montagne russe di DisneyWorld!
Dopo trenta giorni, il primo sbarco, per poi riprendere negli anni successivi per la grande crociera in agosto nelle capitali nordiche fino a Leningrado e quelle più brevi, di dieci giorni, nel Mar Mediterraneo. Stavo talmente bene a bordo e persino benvoluto, che avevo deciso di trascorrere come cameriere anche un Capodanno sulla Eugenio C. con destinazione isole greche, Israele ed Egitto. Non avevo problemi economici, lo facevo per puro piacere, quello che guadagnavo lo spendevo velocemente nelle escursioni e nei regali.
Ricordo con grande nostalgia le peripezie incredibili a cui ero costretto insieme ai colleghi camerieri per trasportare dei pesciazzi lunghi e pazzeschi dalla cucina fino al lungo tavolone dove camerieri professionisti provvedevano al taglio in porzioni. La difficoltà maggiore consisteva nel fatto che la nave, benché già all’avanguardia e provvista di pinne stabilizzatrici, non era certo un piano orizzontale e si doveva driblare nel nostro percorso i vari tavoli dei passeggeri. Ringrazierò sempre il buon Dio per non aver mai catapultato i pesanti pesciazzi per terra o sporcato di sughetto qualche passeggero seduto beatamente a tavola, ma il nostro continuo barcollio era evidente e pericolosissimo per chi si trovava vicino!
Un ultimo ricordo: durante la navigazione nel Mar Baltico eravamo incappati in una discreta tempesta e mentre gran parte dei passeggeri non erano saliti al ristorante per cena e vedessimo le sedie scivolare in sù e giù, in ogni direzione, io mi sollazzavo guardando con simpatia i malcapitati e deglutendo quantità industriali di pizza e di gelato invendute!
Di cose e aneddoti da raccontare ne avrei ancora assai, ma non volendo tediare troppo il lettore, chioso, ringraziando ancora la famiglia Costa e tutto il personale dell’epoca dell’Eugenio C., dai colleghi alla gente di spettacolo, dai fotografi ai panettieri e pasticceri, dagli ufficiali di bordo e perché no? anche qualche gentile signorina passeggera!
Grazie ancora quindi a questa meravigliosa nave che mi ha fatto conoscere in adolescenza, dal privilegio del dietro le quinte, quanto sia bello il mondo e ricchi di buoni sentimenti i suoi abitanti, anche lavorando sodo a bordo!
Alla prochaine… magari, questa volta, da passeggero ozioso.
Turbonave Eugenio C. in navigazione, Archivio Costa, Fondazione Ansaldo
GIORGIO BERGAMI, Fotografare gli altri
Giorgio e l’Archivio storico Ansaldo
Un ringraziamento a Giorgio Bergami per un corposo e prezioso contributo di informazioni e conoscenze che lui e la sua Publifoto diedero a suo tempo all’Archivio storico Ansaldo nell’opera di salvaguardia della documentazione fotografica di interesse storico.
Un contributo, questo di Bergami, che, per essere meglio compreso nelle sue dimensioni e nella sua importanza, deve essere letto insieme alle vicende dell’ Ansaldo di Sampierdarena, società dove io entrai nel 1979.
Il giovane fotogiornalista Giorgio Bergami_Anni '60
In quella tornata di tempo l’ Ansaldo, azienda elettromeccanica con circa 20mila addetti, era il fulcro di un profondo processo di ristrutturazione strategico-organizzativa che coinvolgeva aziende del comparto termo-elettromeccanico pubblico italiano e che aveva come obiettivo la costituzione di un unico e moderno polo in grado di competere sui mercati internazionali. Fu questa quasi una rivoluzione per quei tempi, una rivoluzione che, non dimentichiamolo, è costata molto cara a Carlo Castellano, il suo principale ideatore, che per questo suo piano fu ferito in modo grave e permanente.
Si era di fronte – dicevamo – ad un profondo restyling industriale, che coinvolgeva diversi siti produttivi e che portava a grandi cambiamenti. Si pensi, per fare un solo anche se importante esempio, all’introduzione dell’informatica e alle ricadute di questa sulle attività produttive, sull’organizzazione del lavoro. Ma la grande novità, la cosa fino ad allora più distante dal lavoro industriale comunemente inteso, fu l’idea, geniale, di mettere idealmente nel cuore di questo processo la storia dell’Ansaldo. Una storia che, a parte qualche addetto ai lavori, nessuno ricordava più.
In realtà, come oggi tutti sappiamo, si trattava di una grande storia industriale che partiva nel 1853, ancor prima dell’unità d’ Italia dove l’Ansaldo è arsenale dei garibaldini, è l’azienda che progetta e costruisce le prime locomotive italiane, che si afferma sui mercati esteri già nell’800, che fornisce i cannoni per la vittoria nella Grande Guerra, gli aeroplani per il volo di Ferrarin su Tokio, le grandi e lussuose navi da record come il Rex etc etc… una “bella” storia, fatta di non comuni capacità progettuali e costruttive da utilizzare nella comunicazione, nella costruzione di un’immagine o di un’identità aziendale, nel marketing, negli eventi aziendali….una storia alla quale poter far riferimento in un momento in cui l’ Italia veniva rappresentata dal settimanale Der Spiegel con l’immagine di copertina di una pistola P38 sopra un piatto di spaghetti.
Una storia aziendale, con tutto quello che c’è intorno in termini di economia, società e cultura, che da quel momento, per la prima volta nel nostro Paese, si poteva studiare/conoscere, grazie alla consultazione di una documentazione che, non più utile ai fini aziendali anziché essere distrutta viene, attraverso l’Archivio storico Ansaldo, salvaguardata e messa a disposizione della comunità scientifica, del sistema formativo e della collettività.
Insomma, compiuti nel 1979 i primi passi costitutivi, l’Archivio storico Ansaldo, nel 1980, avvia una sistematica attività di raccolta di una documentazione aziendale che subito si presenta più varia, rispetto a quella di un più tradizionale Archivio di Stato. Oltre alla documentazione cartacea (societaria, contabile, amministrativa…) incontrammo una cospicua e straordinariamente varia documentazione tecnica (si pensi alla quantità e varietà dei soli disegni tecnici) e di altri interessanti materiali ancora come, per venire direttamente a noi, le fotografie: corpose raccolte di originali sulla produzione industriale ed il lavoro a partire dalla seconda metà del secolo XIX. Occorrevano a quel punto capacità e conoscenze per la conservazione e la gestione che ancora non avevamo e che, di fatto, non trovavamo in giro.
Sia chiaro che in quel tempo c’era un grande uso della fotografia, e c’era molta attenzione sulla stessa: nel ‘79 Einaudi pubblica il libro della Sontag “Sulla fotografia - realtà e immagine nella nostra società” e ancora, nel 1980, Roland Barthes scrive “La camera chiara, nota sulla fotografia” per limitarci ad un paio di esempi
E ad una riflessione sulla fotografia arriveremo anche noi, con Luca Borzani ed altri …ricordo, in proposito, il convegno internazionale intitolato “Fotografia. Da specchio del reale alla perdita d’identità” che organizzammo nel 1989 dove per la prima volta in Italia si mettevano a confronto studiosi della fotografia, storici, nuove tecnologie e archivisti.
Ma in quel momento, nel 1980, avevamo bisogno di altro, avevamo tra le mani fragili fotografie che andavano catalogate, condizionate e rese consultabili.
PUBLIFOTO:Marinai americani alla Commenda di Prè_Anni '50
Ed è in quel momento che entra in scena Giorgio Bergami.
Io, prima dell’ Ansaldo, non avevo mai sentito parlare, di Bergami o della Publifoto nonostante il fatto che lui fosse un fotografo di peso, noto e la Publifoto fosse, come presto scoprii, una importante agenzia fotogiornalistica italiana nonché un apprezzato fornitore dell’Ansaldo. Publifoto, infatti, da tempo realizzava per Ansaldo servizi fotografici su prodotti, componenti, impianti, eventi. Bergami ci aveva fotografato a lungo e conosceva quindi piuttosto bene l’attività produttiva dell’Ansaldo. Fu la nostra salvezza. Anche perché, lo straordinario e immediato successo non solo scientifico dell’Archivio aveva subito assorbito le nostre poche forze. Si era anche intimoriti dalla quantità del materiale che si andava raccogliendo, inizialmente nell’ordine di alcune migliaia di foto; dubbiosi sul come doversi muovere tra stampe, negativi e quant’altro….
Giorgio Bergami – anziché preoccupato – era deliziato dalla vista di tutto quel materiale, all’epoca costituito soprattutto da lastre di vetro, e incominciò ad affiancarci, ad aiutarci, con indicazioni pratiche nell’organizzazione dell’Archivio, con concreti suggerimenti per la conservazione e, ancor più importante, nell’identificazione del soggetto … qui nell’impegnativa descrizione dei soggetti fotografati, con il luogo e l’epoca dello scatto ricorremmo anche all’esperienza ed alla memoria di anziani ansaldini come Alpinolo Montanesi entrato nel 1910 a dieci anni col padre contremaitre di fonderia, nello stabilimento siderurgico Ansaldo di Campi (poi SIAC) ma ricordo anche Silvano Ferretti, Luigi Pittaluga ricorremmo a riviste e pubblicazioni tecniche d’epoca, a opuscoli pubblicitari e bollettini aziendali … ma avevamo alle spalle anche altri della Publifoto: Silvano e Sergio Bergami e, talvolta, se non ricordo male, Valcarenghi e Goldberg intervenivano a loro volta nella discussione. Si discuteva infatti spesso su un qualche soggetto non molto chiaro, su un termine non adeguato o su una datazione troppo incerta ma il tutto era divertente, la collaborazione era piena e, nonostante le discussioni, il lavoro era sempre più preciso e sempre più veloce.
Bergami, nonostante avesse già un suo bel da fare come fotografo e in quel tempo, forse , anche come regista riusciva ad essere quasi sempre in contatto, se non presente, … secondo me era motivato, oltre che dalla sua passione per la fotografia, dal piacere nel vedere quelle vecchie fotografie industriali finalmente considerate come dei beni culturali; era orgoglioso di quello che si stava facendo. Almeno così mi pareva. Comunque continuammo, con pazienza certosina, a schedare e condizionare materiali fino al 1982. Fino al convegno Ansaldo “Beni culturali, ricerca storica e impresa” dove registrammo una sorta di consacrazione, di riconoscimento, dell’importanza culturale di questo nuovo tipo di fonti archivistiche.
Qui finisce la fase pioneristica dell’Archivio storico Ansaldo.
Anche per la sezione fotografica, con migliaia di fotografie riordinate e 3mila positivi consultabili in album si chiude una fase iniziale, di tipo tradizionale direi … si apre una nuova e diversa fase - tecnologicamente ed economicamente più strumentata - che vede l’applicazione dell’informatica, l’impiego dei primi dischi ottici, l’utilizzo del digitale per arrivare all’oggi, all’attuale imponente dotazione di oltre un milione di fotografie.
Nel 1982, dicevamo, la collaborazione di Giorgio termina ma non finisce il rapporto tra noi due. C’era sempre una qualche iniziativa o un qualche aspetto che ci faceva incontrare. Fin quasi all’ultimo: ricordo che, qualche anno dopo la sua mostra del 2007 qui al Munizioniere, mi volle presso un suo laboratorio in centro storico: lì mi affidò l’Archivio cinematografico del Partito Comunista genovese, un gran bella raccolta di documentari, oggi collocati in Fondazione Ansaldo, del quale per lunghi anni era stato attento e geloso custode.
Con quella donazione Bergami chiudeva consapevolmente il nostro rapporto.
Era il suo addio.
PUBLIFOTO: Benzinaio a Caricamento_Anni '50
In memoria di Gio Batta Clavarino
Un grande, genovesissimo, uomo di impresa e di visione industriale ha terminato la sua vita terrena: Giovanni Battista Clavarino. Molta della storia recente dell’Ansaldo e dei successi industriali colti nel periodo degli anni ’70 e ’80 della allora “transizione elettronica” sono legati al suo nome e alle sue iniziative. Alessandro Lombardo, già direttore della Fondazione Ansaldo, ha voluto scriverne un ricordo per #storiedaraccontare, perché la storia di Clavarino è davvero da raccontare.
“Gio Batta… chi?” è il titolo di una pubblicazione sulla lunga, proficua e talvolta affascinante vita professionale di Giovanni Battista Clavarino, un libro presentato nel 2014 qui in Fondazione Ansaldo, di fronte ad una piccola folla plaudente costituita da amici, colleghi e conoscenti.
Una vita lavorativa, quella di Clavarino, classe 1927, che a partire dal 1952 si intreccia con la storia stessa dell’Ansaldo, società che contribuisce a far crescere e della quale non a caso diventa Presidente nel 1985. A lui si deve lo straordinario sviluppo dell’Azienda negli anni Settanta e Ottanta con l’elettronica industriale che prima non esisteva, a lui si deve lo sviluppo dell’Ansaldo nella siderurgia, nell’automazione ferroviaria, nell’impiantistica… Sino alla crescita nei mercati esteri, con l’internazionalizzazione dell’Ansaldo, dove personalmente Clavarino creò Ansaldo Argentina, Ansaldo Nigeria, Ansaldo Australia, Ansaldo Arabia Saudita, Ansaldo Russia… Fu un grande successo professionale.
Visita in Ansaldo del Presidente della Repubblica F. Cossiga, Ge-7-11-1986
Ma un successo ancor più grande Clavarino probabilmente lo ha colto con la sua affermazione sociale perché lui arriva sì molto in alto nella piramide sociale, ma è di modesta famiglia operaia. Una famiglia operaia di Sestri Ponente come tante. È quella la sua partenza. Ricordiamo che fino a tutti gli anni Cinquanta (e forse anche più), se eri figlio di operai facevi l’operaio e non l’impiegato o chissà cos’altro. Questa era la norma, non scritta ma in pieno vigore. Ma lui era intelligente. La famiglia lo sostiene. Si laurea a pieni voti nel 1951 in ingegneria elettronica e non si ferma più.
Sarà Commendatore della Repubblica (1982), Grande Ufficiale della Repubblica (1986), Cavaliere del Lavoro (1988). Anche all’estero riceverà riconoscimenti e cariche. Anche dalla Regina Elisabetta II. Lo testimoniano le innumerevoli fotografie che conserviamo in Fondazione dove custodiamo anche una sua lunga video-testimonianza raccolta nell’ambito dell’iniziativa “La Liguria del saper fare si racconta”, finanziata dalla Compagnia di San Paolo. Una registrazione ricca di informazioni, da cui emerge la figura di un uomo che nonostante il successo resta sé stesso, che non dimentica le sue origini, che non dimentica le persone del suo quartiere, che ascolta le richieste degli amici, dei suoi collaboratori. Che tifa, senza se e senza ma, per la sua Sampdoria.
In ricordo di Giovanni Gambardella
È mancato Giovanni Gambardella. Anche se avanti negli anni - era del 1935 - Gambardella fino all’ultimo è stato fedele a sé stesso, il roccioso e inquieto manager che tanti hanno conosciuto. In questo senso, un ricordo recentissimo, che precede di poco la sua scomparsa, è quello di un incontro pomeridiano in casa sua dove, ancora una volta, metteva insieme persone dalle più diverse competenze, conoscenze, capacità e saperi, come quelli di una Fondazione Ansaldo a lui cara, alla ricerca di una qualche risposta culturale o economica per una Genova che lui vedeva, con dispiacere, troppo in affanno. Un poco come con il progetto Utopia di diversi anni prima quando, rompendo schemi consolidati, Gambardella ipotizzò il superamento dell’acciaio a Cornigliano.
Laureato in matematica e, infine, Ingegnere nucleare nel 1959 Gambardella diviene, nel 1976, amministratore delegato della NIRA, quindi nel 1983, a.d. del gruppo Ansaldo e ancora, nel 1987, dell’ILVA. Un ruolo corredato da innumerevoli incarichi in organizzazioni scientifiche e industriali come Federacciai, Confindustria, American Nuclear Society o l’American Society of Mechanical Engineers. Dopo il Gambardella alto dirigente d’impresa c’è il non trascurabile Gambardella imprenditore, ma qui in Fondazione non si può non ricordare il Gambardella che, affascinato dalla storia d’impresa, fa subito restaurare questa nostra sede di Villa Cattaneo dell’Olmo e la valorizza come sede di rappresentanza facendola addirittura inaugurare, nel 1986, con una visita del Presidente della Repubblica Cossiga. Ancora nel 2010, Gambardella ci coinvolge con la sua scuola d’impresa ARPA nel progetto formativo Mediterraneo. Un grande progetto che in una cornice di pace e collaborazione tra i popoli promuove la cultura d’impresa tra giovani provenienti dalle tante sponde del mar Mediterraneo. Gambardella, lo si vedeva chiaramente, ne era particolarmente fiero. Ed è questo il ricordo migliore di lui che qui in Fondazione Ansaldo porteremo con noi.
In ricordo di Giuliano Montaldo
Eligio Imarisio, accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, ci ha inviato questo breve racconto che volentieri pubblichiamo in ricordo di Giuliano Montaldo, genovese, regista, sceneggiatore e attore, scomparso ieri a Roma.
Genova, ritratto di una città, documentario di Giuliano Montaldo, 1964
Nell’ambito del racconto a puntate “Futuro della Memoria” pubblicato lo scorso anno da “la Repubblica” d’intesa con Fondazione Ansaldo, Giuliano Montaldo ed Eligio Imarisio scrissero un pezzo dal titolo assai significativo: Achtung! Banditi! Quella lezione senza tempo che continua a parlarci di fabbrica e di Liberazione.
Tra le migliaia di documenti, di fotografie e di fotogrammi che la Fondazione custodisce, una parte considerevole attiene agli anni della Seconda Guerra Mondiale, alla produzione bellica, al movimento operaio di fabbrica, alla Resistenza e, appunto, alla Liberazione. In ambito cinematografico, un film narra quegli eventi: si tratta proprio di Achtung! Banditi! che Carlo Lizzani gira nel 1951 a Genova, soprattutto in Val Polcevera.
Giuliano Montaldo, al suo esordio come attore, non ha mai dimenticato quel film e quei luoghi divenuti set cinematografici; in centinaia di interviste, in colloqui privati, ed era solito ricordarne episodi su episodi a volte curiosi, altri spassosi, altri ancora amari. Luoghi rivissuti come set nel novembre 2008 con l’iniziativa “Giornata Achtung! Banditi!”, curata dal Municipio Valpolcevera in collaborazione con gli enti locali genovesi e liguri. In quella giornata, Carlo Lizzani e Giuliano Montaldo si aggirarono, quasi una serie singolare di replay, sulla Piazza Pontedecimo, lungo i binari della stazione Trasta, sul greto del torrente Polcevera prossimo agli stabilimenti Ansaldo, per poi finire a Palazzo Ducale accolti da pubblico, stampa ed autorità.
Giuliano Montaldo non ha mai dimenticato la fabbrica ed il lavoro di fabbrica: merita il nostro commosso ricordo.
Fondazione Ansaldo
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