La maggior parte di noi conosce la grandiosa, e triste, storia dell’Andrea Doria. Un maestoso transatlantico costruito nei Cantieri navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente e varato il 16 giugno 1951. Partì per il suo primo viaggio, da Genova a New York, il 14 gennaio 1953.

La turbonave è stata per l’Italia motivo d’orgoglio e simbolo di rinascita dopo la Seconda guerra mondiale. Era considerata infatti la più bella nave passeggeri e venne soprannominata l’elegante Signora del mare, all’estero conosciuta come la Grande Dame.

Purtroppo la sua carriera non durò a lungo, a poco più di 3 anni dal suo viaggio inaugurale, nella notte del 25 luglio 1956, venne speronata dal mercantile svedese Stockholm. Iniziò così la sua discesa verso gli abissi, portando con sé 46 vite.

Tuttavia la sua storia non finì con questo suo ultimo e triste viaggio, che infatti continua tutt’oggi, anche attraverso la penna di Andrea Murdock Alpini: esperto di immersioni subacquee su relitti, che è riuscito a documentare con fotografie e filmati le condizioni attuali di quello che resta dell’elegante Signora del mare.

Oggi ci racconta la prima parte delle sue avventure.

Varo dellAdrea Doria immagine di Fondazione Ansaldo

Varo dell’Adrea Doria, immagine di Fondazione Ansaldo

PARTE I

Il giorno che abbiamo lasciato le cime a terra a Montauk, qualche ora prima di completare il carico e rizzarlo, stavo leggendo i Diari Antartici per ingannare l’attesa. A pagina 118 ho trovato una frase di Shackleton che mi ha particolarmente colpito.

Finalmente siamo in marcia dopo quattro anni di preoccupazione, di lavoro.

Auguro a tutti noi il successo perché ho dedicato a questa impresa tutte le mie forze.

Oggi mi trovo in mezzo all’Oceano Atlantico, finalmente ancorato sopra l’Andrea Doria. È giunta l’ora di compiere delle scelte. Arrivare fin qui è stata l’impresa. Ora bisogna raccontare la nave, ma anche il relitto.

La sicurezza è un aspetto a cui spesso ho pensato prima, ma soprattutto durante queste immersioni sull’Andrea Doria. I problemi ad essa connessi dipendono in larga parte dalla distanza della costa. La corrente è sempre presente e forte, determinata a strapparti dalla barca per farti ritrovare a molte miglia di distanza, in mezzo a un oceano sconfinato e ruvido. La profondità è un problema relativo se non legato al tempo di fondo, ovvero al tempo di decompressione.

Ho pensato così tanto al fattore della sicurezza che la mia decisione iniziale è stata quella di non svolgere immersioni della durata superiore alle due ore. Centoventi minuti sono un buon compromesso tra le condizioni ambientali e il tempo di fondo. Anzi, durante la seconda immersione che ho effettuato sul relitto, tanto era scarsa la visibilità che ho deciso di tagliare il tempo di fondo per evitare un’inutile lunga decompressione dato che non avrei ottenuto nessuna buona immagine ma solo scampoli di relitto.

È stato un lungo percorso quello che mi ha condotto sul relitto dell’Andrea Doria. Da una parte il sogno che avevo da bambino, dall’altra quello del giovane adulto che vuole confrontarsi con il passato della subacquea ma che allo stesso tempo guarda al futuro di questa disciplina.

Un tumulto di pensieri mi attraversa prima di buttarmi in acqua per la terza e ultima volta di questo primo viaggio alla ricerca di ciò che è rimasto della Grande Dame. Il relitto dell’Andrea Doria è spesso appellato come K2 o l’Everest della subacquea. Mi sono sempre chiesto perché proprio quella montagna e non un’altra vetta aspra e difficile da raggiungere? Non so chi abbia chiamato il relitto per la prima volta con questo nome. Il K2 è conosciuto come: “La montagna degli italiani” ovvero un tributo a coloro che sono stati i primi a salirla fino in vetta, il 31 luglio 1954. Due anni dopo e solo una settimana prima di quella data, la bella nave del rinascimento culturale italiano, sociale, politico, economico e manifatturiero affondava al largo del Banco di Nantucket. Nel 1954 la spedizione guidata da Ardito Desio, arrivata tra le montagne del Pakistan, sceglie di raggiungere la vetta del K2 per la via che passa dallo Sperone Abruzzi, là dove Sua Altezza Reale il Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia arrivò e si fermò nel lontanissimo 1909.

Allora qual è lo Sperone Abruzzi dell’Andrea Doria?
La corrente.

Andrea Murdock Alpini durante una delle sue immersioni

Andrea Murdock Alpini durante una delle sue immersio

Questo a mio avviso è il fattore ambientale che maggiormente va gestito in una spedizione su questo relitto. Male interpretare la corrente significa una débâcle totale del viaggio. A volte bisogna aspettare che la sua intensità diminuisca, che il flusso turbolento e travolgente perda progressivamente di forza per far sì che si possa entrare in acqua.

Mi è capitato di vedere l’acqua ribollire in superficie tanta era la sua forza.
Mi è capitato di vedere cime zavorrate trascinate come pagliuzze in ogni dove.
Mi è anche però capitato di vedere improvvisamente la corrente sparire del tutto in una frazione di secondo. Alla fine della prima immersione ho pensato che avrei dovuto rivedere i miei obiettivi, sia per l’intensità della corrente sia per le condizioni del relitto stesso. Uno schiaffo mi aveva dato la Grande Dame in quella prima occasione d’incontro. Prima di buttarmi in acqua per la seconda volta mi sono lungamente parlato per autoconvincermi e trovare la forza di affrontare al meglio quel secondo tuffo: “Dai! È solo maledetta corrente!”. La terza occasione ero deciso a non sprecarla, volevo qualcosa di più dall’Andrea Doria. Quello che volevo io bisognava ora vedere che lo volesse anche lei.

Siamo al quarto di luna e la corrente è ai suoi picchi. Dentro di me spero che succeda come al mio amico Stefano Carletti durante la sua ultima immersione qui, nel lontano 1968. Allora la corrente si era improvvisamente placata e per la prima volta Stefano Carletti, Bruno Vailati e Al Giddings videro davvero l’Andrea Doria, in una sorta di stato di grazia.

Quando ho visto il relitto per la prima volta, toccando la murata di sinistra, ho sussurrato alla nave: “E così sei tu, l’Andrea Doria”. Nonostante sapessi molto della nave non sapevo nulla del relitto, almeno finché non mi sono imbattuto nel suo incontro. Adesso sono in acqua, inizio a respirare per lasciare la superficie e già dai primi pugni che afferrano la cima mi accorgo che adesso qualcosa è cambiato. L’acqua ha un colore diverso, la densità è differente, ma soprattutto la corrente è assai meno intensa, sembra quasi che stia sparendo. Il tratto che di solito impiego due minuti a compierlo adesso l’ho coperto in meno di un minuto. Il vetro della mia maschera per la prima volta non è inondato da plancton e nutrienti che mi sbattono addosso in continuazione. Ora, finalmente vedo. A ventisei metri alzo lo sguardo e scorgo la cima che non traballa come le gambe di un ubriaco che si aggira tra i carruggi. La cima è dritta, tesa. Più scendo e più non si muove. Non posso crederci. Questa deve essere finalmente l’occasione che aspettavo. È giunto il momento di andare all’elica.

 Andrea Murdock Alpini illumina lelica dellAndrea Doria Courtesy DV Tenacious e PHY Diving Equipment

Andrea Murdock Alpini illumina l'elica dell'Andrea Doria, Courtesy DV Tenacious e PHY Diving Equipment

 

 

L’archivio Giovanni Battista Ansaldo è una fonte inesauribile di storie da raccontare. Dalla corrispondenza con il giornalista Giovanni Ansaldo, si può indagare il passato con gli occhi di chi ha vissuto un determinato periodo storico. Lettere, cartoline, ritagli di giornale da cui ricaviamo il ritratto di donne, uomini che hanno lasciato una traccia di sé, una traccia che permane nel tempo.

Nella rubrica “Storie di donne” continua il viaggio alla ricerca delle grandi menti femminili. Sulla scia delle storie precedenti, dove le protagoniste erano Sibilla Aleramo e Marie Bentivoglio, approfondiamo le vicende personali e professionali di un’altra donna intellettuale vissuta nel Ventennio fascista, Camilla Bisi.

Camilla Bisi (1893-1947). Un nome che forse non suggerirà molto. Romana d’origine, cresce in un ambiente intellettuale, con il padre scultore e pittore e la madre letterata e pedagogista. La madre ha un’importante influsso nell’educazione della giovane Camilla, grazie alla sua formazione culturale e ai lavori professionali in ambito giornalistico, riservati ai ragazzi e alle donne.

Si trasferisce poi a Genova, che diventerà sua città d’adozione, per studiare giurisprudenza e lì conosce Giovanni Ansaldo. Nasce una grande amicizia ed è tangibile nella corrispondenza, l’affetto e la stima che la Bisi nutriva per l’Ansaldo. Il rapporto tra i due si rafforza anche a livello professionale, con Giovanni Ansaldo, avviato a un eccellente carriera in ambito giornalistico, direttore del quotidiano genovese “Il Lavoro” e Camilla Bisi tra le sue giornaliste di punta.

Il Lavoro Invasione dellEtiopia di Giovanni Ansaldo 03 10 1935

Il Lavoro, Invasione dell'Etiopia, di Giovanni Ansaldo, 03-10-1935

Oltre al lavoro in redazione, la Bisi è fortemente impegnata in ambito culturale. Tra le sue esperienze più emblematiche vi è la fondazione della casa editrice “Ragazze” con cui pubblica e dirige l’omonima rivista quindicinale per signorine. L’impegno della Bisi, in un’epoca di forte chiusura verso il mondo femminile, è significativo: occuparsi dei problemi interessanti l’educazione e la cultura delle fanciulle. In particolare nel Ventennio, la spinta per l’emancipazione femminile si arresta, e alle donne si riservano prettamente compiti legati alla maternità, dove l’istruzione, la cultura non sono necessarie. Il fenomeno dell’analfabetismo, ancora elevato in Italia, soprattutto nelle aree rurali, coinvolgeva principalmente le donne, indirizzate fin dalla tenera età a mansioni casalinghe. Parlare di cultura per le ragazze, per le donne, interessarsi alle problematiche dell’universo femminile, è sicuramente una grande novità per l’epoca e la Bisi in questo senso è una precorritrice.

All’attività editoriale, giornalista, di scrittrice, con opere significative quali la raccolta di novelle Essere donna, Bisi unisce la sua passione per la poesia. Dall’Archivio Giovanni Battista Ansaldo emerge un lavoro “dimenticato” nella corrispondenza con Giovanni Ansaldo: “Il canto della vera d’oro” che ci riporta a un momento importante della storia italiana e del Ventennio fascista, la guerra d’Etiopia.

  Il canto della vera doro di Camilla Bisi 18 12 1935

Il canto della vera d'oro, di Camilla Bisi, 18-12-1935

Nel 1935 scoppia il conflitto con il paese africano, membro della Società delle Nazioni. Il regime è abile a preparare, sia a livello logistico sia a livello propagandistico, la guerra coloniale. Lo spiegamento di mezzi e risorse è enorme, con Mussolini che gioca la sua credibilità sull’esito positivo del conflitto. L’Etiopia protesta ufficialmente per l’aggressione subita e le reazioni internazionali sono durissime. Gran Bretagna e Francia appoggiano l’Etiopia e impongono, tramite Società delle Nazioni, un embargo all’Italia sulle esportazioni e sulle importazioni di materiali per l’industria bellica. L’isolamento (parziale) della comunità internazionale, vissuto in Italia come una profonda ingiustizia, scatena un’ondata di patriottismo. Una manna dal cielo per il regime che riesce a garantirsi il sostegno e l’appoggio incondizionato delle masse. Il consenso alla guerra è manifestato con un evento passato alla storia: l’Oro alla Patria. La partecipazione del popolo italiano è imponente e, salvo qualche voce discordante, le classi dirigenti e il mondo intellettuale sostengono a gran voce la necessità di un appoggio simbolico al regime. Benedetto Croce, Luigi Pirandello, che dona la medaglia da premio nobel per la causa, sono solo alcuni tra i nomi più importanti che aderiscono alla manifestazione.

Le donne si ergono tra le protagoniste dell’evento; in massa, senza distinzione di classe, donano le vere nuziali, come atto simbolico di unione con lo stato fascista. L’adesione del mondo intellettuale coinvolge anche Camilla Bisi che scrive una poesia a memoria della storica giornata del 18 dicembre del 1935, il già citato “canto della vera d’oro”.

Protagonista della poesia è la vera nuziale, personificazione della fedeltà. Simbolo eterno d’amore, nella vita e nella morte. Solo un evento più grande, la missione imperialista che il regime aveva individuato per gli italiani, poteva distaccare la vera dalla sposa, rompendo il patto giurato per un patto ancora più santificato, il sacrificio per la patria. Svilisce il valore materiale, da oro a ferro, ma accresce il valore spirituale. È il trionfo dello stato sul singolo individuo, che come ogni piccola vera nuziale fonde la propria identità con quella del regime.

Camilla Bisi morirà a Genova nel 1947, poco dopo l’immane tragedia della Seconda guerra mondiale. Di lei rimane il suo forte impegno per le donne, per la cultura, come via salvifica per una maggiore emancipazione. L’appoggio al regime e il “Canto della vera d’oro”, rientrano in una condizione di ambiguità che coinvolge buona parte dell’intellighenzia italiana nel Ventennio. Come Giovanni Ansaldo, anche la Bisi è antifascista, per poi gradualmente avvicinarsi al regime, forse per opportunismo, soprattutto negli anni Trenta.

Al di là delle valutazioni personali, il canto della vera d’oro, con la sua forte valenza simbolica racchiude un momento importante della storia italiana, che è interessante studiare, per comprendere e interpretare un’epoca. Un passato che non è possibile cancellare, ma che dev’essere conosciuto in funzione didascalica. La storia sa essere scomoda, ma insegna come poche discipline al mondo. È un lungo viaggio, dove l’essere umano, con non poche difficoltà, ha elevato e continua ad elevare sé stesso. La storia è la cartina tornasole che permette la conoscenza e la comprensione della nostra identità, fragile e forte allo stesso tempo.

Cerchio d’amore, strinsi la tenue falange di sposa.
Per me nuziale fu il rito, la mano fu benedetta.
Roseo-turbata la sposa mi soppesò con orgoglio;
chiudeva per lei, nel mio giro, il segreto di tutta una vita.
Passarono i giorni – gioia dolore – raggiunti da settimane, da anni.
Una donna, oramai, una mamma pensosa mi custodiva.
Oro della sua vita, logorata, saldata al suo dito,
ero per lei più che l’amore: il suggello di una promessa.
A qualcuna mentii. Dischiusi per qualcuna speranze che non mantenni.
Per altre fui l’anello fissato ad una bara.
Ma quasi nessuna, rimasta a piangere un vivo o un morto,
osò strapparmi alla sua carne, spezzare il patto giurato.
Oggi, per tutte le spose – per le invecchiate,
per le disilluse, per le felici amate fino al tramonto,
ritorno cerchio d’amore, vera d’amore, purissima d’oro.
Si piccola! E greve per tutto l’amore che porto,
cara sopra ogni cosa. Più di ognuna sacrificata.
Amore fu il mio nome, e la fede mi benedisse.
Oggi mi chiamo carta, ferro, essenza, carbone.
Come un raro olocausto, doppiamente santificato,
in cima, su tutto l’oro che il Popolo dona alla Patria.

Sibilla Aleramo. Oggi ti dedichiamo la giornata delle Donne. A te che rappresenti forza e speranza, intelligenza e sensibilità. Non hai trovato la pace in vita, l’hai trovata nell’eternità.

La festa delle donne è anche un momento per fermarsi e ricordare. Il ricordo è amaro ma simbolico. C’è un intento didascalico nel riportare alla luce la memoria. La storia di donne, umili, semplici, colte, intellettuali. Donne di ogni estrazione sociale. Donne povere e donne ricche. Donne.

Sibilla Aleramo con i fiori in mano

 Sibilla Aleramo (con i fiori in mano) in visita durante l’autogestione dei lavoratori presso lo Stabilimento Ilva di Bolzaneto.

Sibilla è un ricordo dolceamaro. Intelligenza rara, presenza affascinante, conversatrice affabile. Scrittrice, poetessa, giornalista. Figura tra le più importanti nella cultura italiana del primo XX secolo. Perché dolceamaro? Ci ricorda la brutalità dell’esistenza, la brutalità dell’essere umano calato nella storia. Vivere nel periodo sbagliato è l’equivalente di una condanna. Essere donna è anche sofferenza, privazioni. È un mondo di parole nascoste, custodite nell’animo, impossibilitate ad esprimersi. C’è un mare di silenzi, e tra le onde dei sentimenti e dell’emotività fuoriescono tali irrefrenabili desideri che neanche la società del tempo può fermare. Sibilla è un oceano senza fine, a tratti calmo, a tratti impetuoso.

Così Sibilla riporta questo breve commento di Gobetti su di lei: “Gobetti scrive che mi si vuol bene per il mio inesauribile coraggio, ma non sa di quanto ne ho bisogno, proprio ora!”

Di coraggio Sibilla ne ha davvero da vendere. La sua felicità, la sua spensieratezza, vengono interrotte dal dramma della violenza e della sopraffazione. Vittima di abusi e molestie, è praticamente una bambina. Al trauma se ne aggiunge uno ben peggiore: sposare il suo aguzzino. La società del tempo vuole questo. Sibilla si adegua ma cova rabbia e risentimento. La sua forza interiore è inarrestabile, nessuna convenzione, nessuna imposizione la spaventa. Sibilla nasce libera, la sua anima non accetta di essere incatenata a una triste vita domestica con un uomo che non ama, con un uomo che non l’ha conquistata ma l’ha sopraffatta. Dall’unione forzata nasce un figlio e si spera che almeno questo possa frenare la depressione. Ma è vita questa? Crescere nella speranza dell’amore e scoprire che l’amore non esiste?

La maternità. Una delle gioie più belle. Non per Sibilla. Sibilla ama suo figlio ma non riesce a vivere nell’illusione di una vita che non ha scelto, di una vita che le è stata imposta, di una vita che è solo apparenza.

La fuga da casa. Da un matrimonio infelice. L’abbandono di un figlio, un dolore che non riuscirà mai a superare. La società dell’epoca la etichetta, la colpevolizza, in quanto donna. Lei non si arrende. Combatte, contro i pregiudizi, contro le convenzioni. Tante relazioni sentimentali, alla ricerca dell’amore vero, una carriera impegnata nel promuovere la condizione della donna, in un’epoca dove il patriarcato si impone con forza, schiacciando ogni speranza di libertà e di realizzazione.

Sibilla Aleramo ricevuta dal segretario del Consiglio di Fabbrica

 Sibilla Aleramo (a destra) ricevuta dal segretario del Consiglio di Fabbrica durante l’autogestione dei lavoratori presso lo Stabilimento Ilva di Bolzaneto.

Sibilla, in un mondo ancora arretrato per la questione dei diritti, anticipa il futuro. È parte di una piccola élite di intellettuali progressisti, con cui trova serenità e affinità mentale. Tra di essi vi è Giovanni Ansaldo, a cui la poetessa-scrittrice è legata da una sincera amicizia.

Sibilla e Giovanni. Intellettuali. Colti. Storie in parte speculari. Come nacque l’amicizia tra i due? Sicuramente c’era sintonia di idee, di pensiero. Negli anni ‘20 il Fascismo prende il potere. Vi è un vasto consenso ma anche una vasta opposizione. Tra gli antagonisti vi sono scrittori, politici, letterati; una parte dell’intellighenzia italiana, Sibilla compresa, rifiuta l’ideologia violenta e prevaricatrice del Fascismo. Sorgono associazioni, riviste di tendenza liberale che affrontano la complessità del tempo in un’ottica progressista. Si instaurano contatti diretti ed epistolari, si infittiscono reti tra i maggiori esponenti di diverse scuole di pensiero. L’antifascismo è realtà e sfocia nel manifesto degli intellettuali antifascisti del 1925.

Sibilla e Giovanni sono dichiaratamente antifascisti; si scrivono, si vedono, lavorano in funzione del libero pensiero, l’una con i suoi lavori teatrali e di scrittrice, l’altro grazie al quotidiano genovese de “Il Lavoro”.  La loro corrispondenza è intima, come già scritto si intuisce la stima reciproca tra i due, che va al di là del mero rapporto professionale.

Lettera di Sibilla Aleramo a Giovanni Ansaldo

 Lettera di Sibilla Aleramo a Giovanni Ansaldo, 20-12-1924

Tempi difficili perché a breve le leggi fascistissime avrebbero trascinato il paese nella dittatura, non ci sarebbe stato più alcuno spazio per giornali dissidenti, politici avversi, intellettuali democratici. Sibilla e Giovanni combattono, accanto a illustri personaggi. Piero Gobetti è tra questi. Fondatore de La Rivoluzione Liberale, fautore del libero pensiero, duramente contrapposto al Fascismo, Gobetti pagò con la vita il suo anelito di libertà. Nella corrispondenza tra Sibilla e Giovanni si cita diverse volte il giovane intellettuale torinese che descrisse, come già detto, l’Aleramo come una donna di “inesauribile coraggio”.

Inesauribile coraggio…eh si…il trauma di una violenza, l’abbandono di un figlio, la carriera professionale messa a repentaglio da un regime dispotico, illiberale e violento. Non possiamo avere accesso ai pensieri della Aleramo, ma possiamo provare a comprenderli proprio dalla corrispondenza con Giovanni Ansaldo, di cui la Fondazione conserva memoria. Sibilla si getta a capofitto nel suo lavoro diviso tra opere letterarie e teatro, i fallimenti scuotono la donna, che affronta la depressione, i tormenti, ma non si abbatte e non cede. Il turbinio delle emozioni lo intuiamo dai suoi continui spostamenti in giro per l’Italia, dopo anni di vita domestica imposta, la Aleramo non mette più radici. È un’esistenza veloce, libera, soprattutto dai preconcetti del suo tempo. I legami però ci sono, legami di amicizia, di pensiero, come con Ansaldo e Gobetti. L’ultima lettera, in realtà una cartolina, di Sibilla a Giovanni, è dell’agosto 1940, in pieno conflitto mondiale: “Un saluto, con l’antica cordialità (anch’io vostra ascoltatrice alla radio) agosto 1940 XVIII”.

Cartolina di Sibilla Aleramo a Giovanni Ansaldo

 Cartolina di Sibilla Aleramo a Giovanni Ansaldo, 1940

Donna fuori dagli schemi, animata da spirito libertario fino alla fine, non esita neppure un secondo a schierarsi a fianco dei lavoratori dell’Ilva di Bolzaneto, che nel 1950 rischiavano il licenziamento a causa della chiusura dello stabilimento. È una stagione gloriosa dove i lavoratori in autogestione, sostenuti dalle proprie famiglie, combattono per i propri diritti. Sibilla è in visita al loro fianco, per supportarli. Un’altra battaglia, l’ennesima della sua vita.

Diritto alla parità di genere, diritto al lavoro. Sibilla crede in un mondo migliore, un mondo più giusto. Un mondo che nella sua epoca pare utopistico e che oggi, purtroppo, nel lontano 2022, abbiamo raggiunto solo in parte. Il ricordo di Sibilla Aleramo, durante la giornata internazionale della donna, diventa così consapevolezza. Che la lotta per l’uguaglianza è ben lungi dall’essere risolta, che il sacrificio di Sibilla e delle sue sorelle sia d’esempio per una rinascita del genere umano, per troppo tempo insensibile al grido di dolore delle donne e delle categorie più svantaggiate. Per troppo tempo insensibile all’amore.

“Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Son stata amore.Sibilla Aleramo

Dal meraviglioso mondo della Fondazione Ansaldo emergono personaggi poco conosciuti o dimenticati. L’archivio ha questa capacità enorme, riporta alla luce emozioni sommerse, da esso scaturiscono storie di personaggi fagocitati dal tempo ma non dalla storia. In particolare l’Archivio Giovanni Battista Ansaldo è un crogiuolo di tante piccole/grandi individualità che ci aiutano a inquadrare meglio la società otto-novecentesca e il periodo storico di riferimento.

Donne al lavoro

Fototeca FA -Donne al lavoro - anni '10-'20 del sec. XX

Marie Bentivoglio non fu una donna qualunque. Grazie alla sua corrispondenza con il giornalista Giovanni Ansaldo, tra il 1936 e il 1939, riusciamo ad avere il ritratto di una donna forte, ricca di cultura e di aspirazioni. Ma chi era Marie Bentivoglio? Nata da genitori italiani a Torino nel 1898, si trasferì in tenera età a Sidney in Australia. Il padre, personalità colta, appartenente all’élite della società bolognese, era ingegnere e professore di italiano al conservatorio di musica di Sidney. La giovane Marie crebbe sicuramente in un contesto stimolante e, grazie alle sue doti straordinarie, sviluppò un sapere enciclopedico. Nel 1920, all’università di Sidney, ottenne la prima laurea con lode come dottore in Scienze, vincendo ben tre borse di studio. Le sue capacità non sfuggirono in ambito universitario e presto ricevette la chiamata della celebre università di Oxford. In Inghilterra, perseguì con costanza i suoi studi laureandosi a pieni voti in Geografia nel 1924 e due anni dopo ottenne il medesimo riconoscimento in Filosofia. Quest’ultimo successo fu motivo d’orgoglio per la giovane Marie che ben lo esprime in una lettera a Benito Mussolini, conservata nel nostro archivio. Nel curriculum allegato, ricordava come fosse la prima donna ad ottenere la laurea di filosofia ad Oxford.

Mente geniale e figura controversa, è oggi un personaggio poco conosciuto. Come mai? Probabilmente la sua vita all’estero e la sua adesione al regime fascista ne fecero un personaggio scomodo, o comunque un personaggio di cui non valeva la pena fare menzione. Marie, però al di là delle sue convinzioni politiche, fu sicuramente una donna straordinaria. I suoi studi la portarono a tenere diverse conferenze in ambito universitario, negli Stati Uniti e in Australia. Ottenne prestigiose cariche onorifiche nelle università australiane, che le valsero il rispetto e l’ammirazione del mondo anglosassone. Che rapporti ebbe con l’Italia? Di lei abbiamo un breve rapporto epistolare con Giovanni Ansaldo, dove allega proprio la famosa lettera indirizzata a Mussolini.

Archivio G.B.A. Lettera di Marie Bentivoglio a Giovanni Ansaldo 02 01 1939

Archivio G.B.A. - Lettera di Marie Bentivoglio a Giovanni Ansaldo, 02-01-1939

Marie, donna fortemente patriottica, percepiva un affetto profondo per il Belpaese e negli anni ’30 si prodigò in tutti i modi per promuovere all’estero l’immagine dell’Italia e del Fascismo. Come spiegare questi sentimenti per Mussolini e per il movimento da lui incarnato? I successi in politica estera a metà degli anni ’30, l’immagine che il Duce soleva presentare, quella di un’Italia rivitalizzata, grande potenza al tavolo delle grandi potenze, sulle orme del glorioso Impero Romano, probabilmente sedusse la Bentivoglio. Nonostante il perfetto inserimento nel mondo anglosassone e nei Women’s Club, le organizzazioni femminili dal grande peso politico e culturale, Marie rimase profondamente legata alla madrepatria e Mussolini, nella sua visione intellettuale e politica, rappresentava l’uomo che aveva dato dignità e forza a un paese povero e in gran parte arretrato.

La storia ha raccontato poi un esito che ben conosciamo, ma è interessante osservare l’opinione di una donna intellettuale e peraltro inserita in un contesto profondamente diverso da quello dell’Italia del Ventennio. È indubbio che il Fascismo ebbe ammiratori anche nel mondo anglosassone, ma Marie, nella lettera indirizzata a Mussolini, parla di un’opinione pubblica (americana) ostile al Fascismo. Sono gli anni immediatamente successivi alla conquista dell’Etiopia, gli anni dell’autarchia in virtù delle sanzioni promulgate dalla Società delle Nazioni, anni in cui l’opinione pubblica anglosassone, in primis inglese è impegnata nel contrastare l’espansionismo fascista. La Bentivoglio, spinta dal suo fervore patriottico si prodigò in una serie di conferenze negli Stati Uniti volte a propagandare l’immagine positiva dell’Italia e del Fascismo. La lettera indirizzata a Mussolini, a mio parere, non è solo la ricerca di un appoggio o di un sostegno. Marie non ne aveva bisogno, in virtù della sua proficua attività professionale. La Bentivoglio si offre come appoggio politico e presenta a Mussolini un mondo che non conosce, quello delle organizzazioni femminili o “Women’s club”. L’opinione pubblica femminile anglosassone ha una sua forza, una sua collocazione, non può essere esclusa dal dibattito politico dell’epoca. Le organizzazioni hanno un’influenza sulla società, che non può essere trascurata.

Archivio G.B.A. Lettera di Marie Bentivoglio a Mussolini con curriculum05 11 1936

Archivio G.B.A. - Lettera di Marie Bentivoglio a Mussolini con curriculum, 05-11-1936

Mussolini diede una risposta? Capì l’importanza della propaganda femminile per far breccia nell’opinione pubblica americana? Non lo sappiamo, ma è interessante osservare come le donne non fossero semplici spettatrici in un mondo a tinte azzurre, ma impegnate in politica, propositive, con idee diverse, ambiziose e in carriera. Si può discutere sugli ideali della Bentivoglio, sviluppati in un’epoca profondamente diversa da quella attuale, ma è interessante constatare l’attivismo di una donna degli anni ’30 del XX secolo. Una donna che ottenne numerosi riconoscimenti in campo universitario e un primato straordinario per l’epoca. Una donna fieramente italiana, nonostante i tanti anni vissuti all’estero, una donna di successo in gran parte dimenticata. Una piccola, grande protagonista di un mondo complesso e contradditorio, di un mondo drammatico e spietato. La storia è questa, cancellare non nasconde il passato, comprendere, leggere la realtà con occhi distaccati, contestualizzandola in quel momento, non in quello attuale, è la più grande lezione di vita.

Il 5 novembre 1927 nasce a Genova il Dopolavoro Ansaldo per volontà del governo di allora di costituire all’interno delle aziende italiane “L’Opera Nazionale Dopolavoro”.

Nel corso del secondo dopoguerra le lotte operaie portarono a grandi cambiamenti lavorativi, sociale e politici, pertanto anche il Dopolavoro sentì l’esigenza di mutare, di crescere, diventando un centro di ritrovo democratico e apolitico per i lavoratori e le loro famiglie, con una vasta offerta di attività ricreative, culturali, turistiche ed assistenziali.

Per tutto il corso del 2022 il Cral Ansaldo-Fincantieri sarà promotore di una serie di iniziative per celebrare i suoi 95 anni di fondazione.

dopolavoro ansaldo

Il 5 novembre 1927 nasce il Dopolavoro Ansaldo, partendo dalle indicazioni del Duce di costituire all’interno delle aziende italiane “L’Opera Nazionale Dopolavoro”. 

Finita la guerra, e raggiunta la liberazione, inizia per il paese un periodo di grande trasformazione che coinvolse tutti i segmenti della società sotto il profilo culturale, sociale, economico e democratico e, conseguentemente, anche la struttura e le finalità del dopolavoro.

Sotto l’aspetto economico l’immediato dopoguerra è il periodo della costruzione dei grandi transatlantici: furono varati in quegli anni l’Andrea Doria, il Cristoforo Colombo, il Leonardo Da Vinci, il Michelangelo. Queste produzioni non solo coinvolsero nella lavorazione e progettazione i genovesi, ma furono ricercate per gli allestimenti  come rappresentati dell’eccellenze del paese. Ma è a livello sociale che vi furono i grandi cambiamenti, il riconoscimento dei diritti universali, i principi di eguaglianza, libertà, equità che spinsero i lavoratori a dare inizio a lotte sindacali motivate dalla precarietà del lavoro e dalla sua sicurezza, dall’adeguamento dei salari, alla regolamentazione dei licenziamenti e al trattamento del lavoro femminile ed è proprio da quelle lotte che nacque nel 1970 Lo Statuto dei Lavoratori.

Questi cambiamenti non ci hanno lasciati indenni ed è questo il modo di intendere il lavoro che ci ha formato nel modo di pensare, di agire e di vivere la fabbrica e fuori da essa, nella società, ed è proprio lì che vanno ricercate le motivazioni per le quali si sentì l’esigenza di operare una serie di modifiche statutarie al fine di garantire la democraticità e la rappresentanza di tutti i soci  trasformando  il Dopolavoro in un centro di ritrovo dei lavoratori, democratico, apolitico atto a produrre iniziative ricreative, culturali, artistiche, sportive, turistiche ed assistenziali.

cral

Nel corso degli anni Sessanta, furono operati da Finmeccanica numerosi interventi riorganizzativi del Gruppo Ansaldo che portarono alla separazione della produzione navale con il trasferimento di quest’ultima all’Italcantieri di Trieste. Nonostante la divisione i rappresentanti aziendali e i rappresentati dei soci decisero di mantenere unito il Dopolavoro per entrambe le aziende dando vita a quello che è l’assetto attuale del Cral Ansaldo-Fincantieri.

In questi 95 anni abbiamo certamente vissuto momenti difficili  superati praticando la solidarietà tra noi, coltivando relazioni importati con le direzioni aziendali e avendo un collegamento diretto con le rappresentanze dei lavoratori. Il mantenere e lo sviluppare questi rapporti, ha permesso al Cral di essere sempre all’avanguardia, a passo con i tempi e le grandi trasformazioni, oltre certamente vicino alle esigenze dei soci mettendo in moto non solo iniziative legate allo svago, ma diventando punto di riferimento e cercando di dare risposta alle famiglie, come l’organizzazione del Centro Estivo a Villa Maria,  l’accordo con l’Azienda Municipalizzata del Trasporto pubblico genovese AMT che consente per i lavoratori un prezzo agevolato per l’abbonamento annuale.

La continua creazione di proposte a vantaggio esclusivo dei lavoratori e delle loro famiglie ha fatto sì che il Dopolavoro Ansaldo- Fincantieri, anticipando di gran lunga i tempi, diventasse un precursore ed un promotore del moderno Welfare Aziendale.

Vogliamo ricordare questo anniversario perché è un traguardo importante e vogliamo farlo non solo coinvolgendo tutte le iscritte e tutti gli iscritti e le loro famiglie, ma anche le istituzioni con le quali nel tempo si è instaurato un ottimo rapporto a tutti i livelli, le organizzazioni dei lavoratori, le stesse aziende e tutte quelle realtà con le quali abbiamo operato.

A conclusione di tutte le attività in programma per i nostri 95 anni si terrà una grande festa per ricordare alla città e a tutti noi che rappresentiamo un punto di eccellenza, di aggregazione sociale, per la storia che rappresentiamo ed il grande patrimonio professionale e produttivo che le aziende a cui facciamo riferimento esprimono per Genova, la Liguria e l’Italia.

Le nostre attenzioni sono rivolte ai giovani, con l’intento di trasmettere loro la memoria di un passato fatto di lotte, sacrifici, ma anche di progresso e miglioramenti conquistati nel tempo con impegno, fatica e confronto costruttivo tra tutti i soggetti in campo.

L’ancora e l’ingranaggio dentato che formano il nostro simbolo rappresentano il mondo del lavoro genovese e ligure e la sua dedizione, costantemente rinnovata e volta alla libertà, alla democrazia e alla solidarietà. È una realtà fondamentale per il futuro di Genova e del Paese, che va difesa e valorizzata perché è la scelta vincente per guardare in positivo al futuro e dare prospettive di crescita e di sviluppo all’avvenire delle giovani generazioni in un’unica ottica di impegno civile e solidale.

Le ultime elezioni del CdA del nostro Cral, avvenute nel Dicembre scorso, hanno portato nel consiglio molti giovani e per la prima volta dal 1927 una nostra Socia, la Sig.Ra Angela Trani, è stata nominata “ Segretaria Generale del nostro Cral” confermando come Presidente il Sig. Moretta Osvaldo.

Auguriamo a tutto il CdA un buon lavoro.

cral palestra

Programma 95°

Maggio:
Mostra Fotografica #Women di Fondazione Ansaldo
Torneo Agility dog
Giugno:
Torneo Calcio “Trofeo 95°”
Mostra Pittura
Battesimo della Sella
Esibizione Circolo ciclismo / Bambini
“Baratto”
“ Festa conclusiva  95°” presso il Teatro Cittadino
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