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Dal crollo del ’29 agli anni del modello post-industriale
di Alessandro Lombardo
Il 1929 è un anno terribile per l’economia mondiale, crolla la borsa di Wall Street e il venerdì nero colpisce in pieno l’Europa. Le conseguenti difficoltà dell’apparato industriale si ripercuotono direttamente sulle più importanti banche che detenevano nel proprio portafoglio i pacchetti azionari di controllo di numerose imprese. Per evitare il tracollo lo stato interviene creando l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che si fa carico delle passività delle banche e trovandosi quindi proprietario di parti rilevanti dell’apparato industriale del paese. Genova in particolare può a buon diritto essere considerata la “capitale delle partecipazioni statali” poiché ricca di industrie e d’imprese coinvolte nella riorganizzazione. L’IRI continua ad operare anche nel secondo dopoguerra riorganizzando nuovamente le grandi imprese italiane modificando ulteriormente l’assetto industriale ed imprenditoriale del paese. Negli anni ‘60 la ripresa economica segna un andamento positivo per l’industria ligure fino alla fine degli anni ‘70 e inizio degli anni ‘80 quando la crisi del nucleare segna profondamente l’Ansaldo e il settore navale subisce pesanti ridimensionamenti. La seconda metà del ‘900 vede quindi molteplici e significative modificazioni del mondo delle imprese e dell’industria e la Liguria spicca in particolar modo sia per rinnovamento e diversificazione ma anche ridimensionamento.
Il crollo del 1929 e gli anni Trenta e lo Stato imprenditore
Il 1929 si apre con l’acquisizione di un’importante commessa da parte dell’Ansaldo, cui la Navigazione Generale Italiana ordina un grande transatlantico, il Rex, che nel 1933 conquisterà il premio internazionale Nastro azzurro per aver compiuto la traversata dell’Atlantico nel tempo record di 4 giorni e 14 ore. Tra il 1929 e il 1933 cambia però in peggio lo scenario dell’economia mondiale. La crisi che ha come epicentro gli Stati Uniti (crollo della Borsa di Wall Street a New York, del 29 ottobre 1929) e investe anche l’Europa. In Italia la negativa congiuntura assume connotati particolari, che rischiano di compromettere la politica del regime fascista volta a consolidare il consenso che si voleva creare attorno al governo: le difficoltà dell’apparato industriale si ripercuotono direttamente sulle più importanti banche miste che detenevano nel proprio portafoglio i pacchetti azionari di controllo di numerose imprese. Per evitare il tracollo delle banche lo stato interviene: nel 1933 viene creato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che si fa carico delle passività delle banche acquisendone le attività e trovandosi quindi proprietario di parti rilevanti dell’apparato industriale del paese.
Nasce lo Stato imprenditore: proprio la Liguria è sede di molte delle principali società che finiscono in mano pubblica (si tratta delle imprese metalmeccaniche Ansaldo, Ilva, OTO, Oarn, Fossati, Termomeccanica, oltre che di compagnie di navigazione) e Genova in particolare può a buon diritto essere considerata la “capitale delle partecipazioni statali”. Una nuova generazione di manager pubblici si affaccia alla ribalta. Alcuni di loro sono protagonisti del riassetto delle aziende metalmeccaniche liguri: Agostino Rocca, ingegnere dal 1935 alla testa di Ansaldo e Siac, e Oscar Sinigaglia, che guida la Finsider (holding finanziaria dell’IRI per la siderurgia). L’industria genovese nella seconda metà degli anni Trenta si risolleva dalla crisi grazie, ancora una volta, alle generose e abbondanti commesse pubbliche legate alla politica di riarmo e bellicista del fascismo.
Si ripropone così lo schema che vede le fabbriche della città come “arsenali” di guerra. A dimostrazione dell’avvenuta ripresa i dipendenti dell’Ansaldo (scesi da 13.400 a 9.200 unità nel triennio 1930-1932) ammontano a 16.500 nel 1936 e a 23.000 nel 1939.
Un andamento analogo mostrano le vicende dell’industria a Savona e a La Spezia. Particolarmente dinamico si dimostra nel Savonese il comparto chimico. A Vado l’Italgas crea una cokeria e quindi, d’intesa con la Montecatini, costituisce la Cokitalia. Nel 1937, in Val Bormida, nasce dalla fusione della Film e della Cappelli la Ferrania, che produce pellicole fotocinematografiche e materiali per radiografie. A Cengio è inoltre attiva l’Acna (Azienda colori nazionali affini). La crescita del settore chimico (che con quasi 7.000 addetti nella provincia alla vigilia della seconda guerra mondiale è secondo al solo comparto meccanico – 8.000 occupati -) contribuisce in misura rilevante al potenziamento dell’industria in provincia di Savona. La realtà spezzina è sempre influenzata dalle esigenze della marina militare e dell’industria degli armamenti. Il lavoro delle fabbriche legate alle costruzioni navali, intenso nella seconda metà del decennio, stimola i traffici portuali che, misurati in migliaia di tonnellate di merci imbarcate e sbarcate, raggiungono il loro massimo storico nel biennio1938-1939.
La seconda guerra mondiale e la ricostruzione (1940-1950)
L’apparato industriale della Liguria è travolto, come l’intero paese, dall’esito catastrofico della guerra iniziata nel giugno 1940 a fianco della Germania. Dopo l’8 settembre 1943, dopo l’armistizio dell’Italia con gli Alleati, le truppe tedesche, diventate forze di occupazione, puntano a trasferire gli impianti in Germania o in altre zone dell’Italia del Nord, incontrando spesso la resistenza passiva dei dirigenti, delle maestranze e della resistenza che nelle officine liguri trova un teatro di operazioni ed un luogo di reclutamento. Alla fine della guerra – a partire dal maggio 1945 - si impone dunque una ricostruzione materiale e morale del paese.
La ripresa è resa più lenta dalle difficoltà del dopoguerra. Nell’estremo Ponente ligure gli impianti di raffinazione dell’olio e i pastifici non ricevono adeguati rifornimenti di materie prime; le grandi fabbriche metalmeccaniche di Genova, Savona e La Spezia devono ancora una volta effettuare una complessa riconversione produttiva abbandonando le lavorazioni belliche per intraprendere produzioni civili.
Soggetto decisivo di politica industriale è nella regione l’IRI: nel 1946 l’istituto dà lavoro nella sola Genova a circa 50.000 persone (30.000 all’Ansaldo, oltre 8.000 alla San Giorgio, 5.600 alla Società Italiana Acciaierie di Cornigliano, 4.200 all’Ilva); le aziende private con più di mille dipendenti sono la Piaggio e la Bruzzo (quest’ultima con 2.000 occupati nelle acciaierie di Bolzaneto). Nel 1948-1949 l’IRI definisce articolati piani di ristrutturazione che interessano tanto il settore meccanico quanto quello siderurgico. Nel 1948 nasce la Finmeccanica, cui fanno capo società con complessivi 50 stabilimenti e 88.500 dipendenti. Nel 1949-1950 la holding procede a una riorganizzazione delle imprese controllate. L’Ansaldo subisce una radicale trasformazione, perdendo alcuni stabilimenti e acquisendo i cantieri navali della Odero-Terni-Orlando di Livorno e del Muggiano (La Spezia): diviene dunque un’azienda prevalentemente, anche se non esclusivamente, navalmeccanica. Si costituisce l’Ansaldo San Giorgio che rileva anche gli impianti elettrotecnici dell’Ansaldo e della San Giorgio (controllata dall’IRI dal 1946) siti in Genova. A La Spezia la Termomeccanica Italiana è scorporata dalla Odero-Terni-Orlando e intraprende la produzione di impianti frigoriferi industriali, compressori e pompe; rinasce la Oto Melara, che si dedica alla fabbricazione di macchine tessili e poi di armamenti.
Nel 1945 torna al vertice della Finsider Oscar Sinigaglia: egli può così rilanciare il progetto della creazione, a Genova-Cornigliano, di un grande stabilimento siderurgico a ciclo integrale. Il respiro europeo del disegno di Sinigaglia sarà testimoniato di lì a poco dalla presentazione, nel 1950, del Piano Shuman che si tradurrà nel 1951 nella costituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
A Genova, la cui lunga storia siderurgica, si sostanzia in una massiccia presenza nell’area metropolitana di fabbriche e di sedi centrali di imprese il peso maggiore lo hanno le aziende facenti capo alla Finsider (l’Ilva con quattro stabilimenti, che occupano nel 1948 4.842 addetti, e la Società Italiana Acciaierie di Cornigliano (SIAC). Il piano prevede, oltre alla realizzazione del nuovo stabilimento, la chiusura dei vecchi impianti Ilva, la specializzazione della SIAC nella produzione di fucinati e pezzi fusi di grandi dimensioni. Nel 1950, utilizzando i fondi del piano Marshall, si avvia la costruzione del centro siderurgico su terreni ottenuti con riempimenti del mare: opera colossale che termina nel 1953 allorché le acciaierie vengono conferite alla società Cornigliano e intitolate a Sinigaglia, scomparso in quello stesso anno.
Dal “miracolo economico” all’emergere di un’economia “post-industriale”
Il periodo compreso tra il 1950 e l’inizio degli anni Settanta è caratterizzato, nell’intero Occidente, e, quindi, anche in Italia, da una prolungata e significativa crescita economica. Aumenta il reddito complessivo del paese, migliorano le condizioni di vita di milioni di italiani che conoscono, spesso per la prima volta, il benessere della società dei consumi di massa. La Liguria è pienamente inserita in tale processo storico-economico.
Il comparto meccanico non supera però le sue permanenti difficoltà. La San Giorgio viene suddivisa nel 1954 in diverse imprese: avranno vita non effimera il ceppo da cui in seguito si svilupperà la ELSAG, attiva nell’elettronica, e la Elettrodomestici San Giorgio (a La Spezia). Viene liquidata nel 1959 l’Ansaldo Fossati, passata nel dopoguerra dalla produzione di carri armati a quella di trattori pesanti; faticano l’Ansaldo San Giorgio, impresa elettromeccanica poi fusa nel 1966 con la milanese Compagnia Generale di Elettricità per dar vita all’ASGEN, e la stessa Ansaldo.
Nel 1966 una nuova ristrutturazione voluta dall’IRI coinvolge l’Ansaldo, privata dei cantieri navali attribuiti a una società pubblica appena costituitasi, l’Italcantieri, con sede a Trieste. A parziale compensazione di questa decisione, l’IRI, con la costituzione dell’Ansaldo Meccanico Nucleare, punta a creare proprio nel capoluogo ligure il polo strategico dell’industria nucleare italiana. Più positivo è l’andamento del settore siderurgico, soprattutto con lo stabilimento di Cornigliano, e dall’industria dell’elettrodomestico, entrambi in fortissima crescita.
Impetuoso è lo sviluppo del comparto della raffinazione del petrolio. A La Spezia la raffineria della Shell lavora nel 1949 350.000 tonnellate di greggio, nel 1960 2.200.000 tonnellate. Raffinerie sorgono e si ampliano a Genova (importantissime quelle della ERG fondata da Edoardo Garrone) e a Busalla (IPLOM); nel complesso la produzione del settore nella regione passa da 4.701.621 tonnellate nel 1960 a 10.124.950 tonnellate nel 1965.
Con gli anni Settanta termina la fase di maggiore espansione economica del mondo occidentale. Gli shock petroliferi, col brusco aumento del prezzo del greggio, il disordine monetario internazionale, il malessere sociale che investe i paesi industrializzati, nuovi scenari competitivi sul mercato mondiale: questi alcuni dei principali fattori che influenzano negativamente l’andamento delle economie europee e, naturalmente, anche dell’Italia. La Liguria è investita in pieno da questo processo, che colpisce in modo particolare la struttura industriale della regione. Il risultato di ciò è evidenziato dai dati relativi all’occupazione industriale: se nel 1961 erano occupati nel settore secondario nell’intera regione 220.000 persone, il loro numero scende a 183.000 nel 1981 per ridursi ulteriormente a 131.000 nel 1991. Nell’ultimo decennio del Novecento gli addetti all’industria sono meno del 25% della forza lavoro complessivamente occupata in Liguria.
Dietro tali cifre, in ogni caso eloquenti, si nascondono dinamiche specifiche e realtà talvolta in controtendenza. La crisi colpisce, per ragioni di carattere generale e per motivi particolari, molti dei settori portanti dell’industria ligure. La siderurgia attraversa negli anni Settanta una fase di grave difficoltà, percepibile a livello di comunità europea, che aggrava drammaticamente i conti dell’Italsider; l’abbandono del nucleare, deciso di fatto dal referendum del 1987 svoltosi dopo l’incidente occorso alla centrale di Chernobyl, crea non pochi problemi al raggruppamento Ansaldo; in difficoltà appare anche il settore chimico: alle ragioni “industriali” si aggiunge in questo caso l’emergere della questione ambientale. Cambia infatti la sensibilità di una popolazione che non è più disposta a tollerare la convivenza con impianti inquinanti: interrompono negli anni la propria attività le raffinerie ERG a Genova, l’Acna a Cengio, l’Enichem Agricoltura a S. Giuseppe di Cairo, la Stoppani a Cogoleto; si limita alla movimentazione del carbone senza lavorarlo la Fornicoke di Vado Ligure.
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta anche il comparto delle costruzioni e riparazioni navali subisce forti ridimensionamenti. Il processo di ristrutturazione implica inoltre un cambiamento storico nella composizione della forza lavoro industriale: diminuiscono nettamente, in cifre assolute e in percentuale, le tradizionali figure operaie, le tute blu, mentre aumentano invece gli impiegati, i colletti bianchi. Non mancano alcune realtà dinamiche. Tra esse si segnalano il settore cantieristico navale e la nautica da diporto (ricordiamo ad esempio i cantieri Baglietto di Varazze).
Vi sono inoltre importanti nuclei di imprese attive nel comparto dell’elettronica, e di altre singole aziende leader nel loro ramo. È il caso della Esaote (poi Esaotebiomedicale) azienda leader in Italia nel campo biomedicale e della Boero, specializzata nella produzione di colori e di vernici per la nautica.
Con la fine del sistema delle partecipazioni statali, con l’avvenuta liquidazione dell’IRI si ha la privatizzazione di molte delle imprese controllate dall’ente. Così l’impianto siderurgico di Genova Cornigliano, viene rilevato dal gruppo lombardo Riva; restano in mano pubblica la Fincantieri, che raccoglie i cantieri navali ancora attivi in regione, la ElsagDatamat e alcune società (come Ansaldo Energia o Ansaldo STS) nate dallo scorporo dell’Ansaldo.
Non manca una presenza significativa di grandi imprese multinazionali nei comparti dell’alimentare, del vetro (Saint Gobain nel Savonese), dell’elettronica (dalla britannica Marconi prendono corpo a Genova la Selex Communication della Finmeccanica e la Ericsson). Cospicua rimane la realtà dell’industria metalmeccanica a La Spezia, con aziende attive sul mercato internazionale quali Oto Melara, Fincantieri e Termomeccanica che si affiancano all’Arsenale.
Immagini provenienti dalla Fototeca di Fondazione Ansaldo
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