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Dall’unità d’Italia alla ricostruzione dopo il primo conflitto mondiale
di Alessandro Lombardo
Sotto il Regno di Sardegna Genova e la Liguria sono al centro di importanti investimenti infrastrutturali (la costruzione della ferrovia Genova Torino viene avviata nel 1846) e industriali: nasce nel 1853 la Giovanni Ansaldo & Co e con questa l’industria manifatturiera ligure.
L’avvento del vapore e la crisi della marineria velica spingono il ceto armatoriale genovese a diversificare, trasferendo ingenti capitali dal comparto marittimo a quei rami dell’industria che possono garantire più sicuri margini di profitto anche grazie ai provvedimenti governativi. Al boom della industria meccanica si accompagna la crescita della siderurgia: Genova e la Liguria hanno il vento in poppa.
La situazione muta però radicalmente con la fine del primo conflitto mondiale: è necessario passare dalle produzioni di guerra a quelle di pace ma il contesto è difficile sotto il profilo sociale e politico: ristrutturazioni e fasi di fragile ripresa, con le principali aziende manifatturiere della Liguria, prevalentemente metalmeccaniche, controllate dal sistema bancario.
A poco a poco nascono però nuove iniziative imprenditoriali: Costa, Mira Lanza, Dufour…alla prossima puntata.
Verso un mondo industriale (1850-1880)
Il processo di trasformazione che porta gradualmente il settore industriale ad acquisire tratti innovativi ha luogo nei decenni che intercorrono tra la fine dell’età napoleonica e gli anni Ottanta del XIX secolo.
Nel 1830-1840, in Liguria, su una popolazione di quasi 700.000 abitanti, gli occupati nell’industria sono stimati in circa 68.000 unità: risultano addette al settore molitorio e a quello oleario rispettivamente 4.650 e 5.250. Circa 32.000 persone, inoltre, erano occupate nell’industria tessile e del vestiario nel circondario di Genova, in larghissima misura sono donne che svolgono la loro attività a domicilio.
Rarissime sono le fabbriche moderne: tra queste la fonderia dei fratelli Balleydier, provenienti dalla Savoia, apertasi a Sampierdarena nel 1832 e il lanificio D’Albertis a Voltri.
Nel corso degli anni Quaranta si registrano alcuni segnali di novità. Innanzi tutto sul piano del dibattito e della discussione culturale. Convinti assertori dell’importanza dello sviluppo di Genova – che faceva allora parte del Regno di Sardegna – in una prospettiva di modernizzazione complessiva dell’intero paese sono soprattutto personalità politiche e intellettuali quali Carlo Cattaneo e Camillo Benso conte di Cavour, ministro delle Finanze del Regno sardo e, dal 1852, primo ministro. Ripetutamente sollevata è la questione delle linee ferroviarie tra la città e il suo hinterland; già nel 1846 lo stato sabaudo decide di procedere all’appalto per l’esecuzione dei lavori di costruzione della linea Torino-Genova.
Si tratta di progetti e di concrete scelte destinati a modificare radicalmente la struttura economica della regione. La costruzione della ferrovia Genova-Torino, avviata nel 1846 è completata nel 1853; il collegamento ferroviario con Milano sarà realizzato nel 1861 e reso più diretto nel 1867: si riducono così drasticamente i tempi del viaggio da Genova ai grandi centri urbani del Nord, che passano dai 5-6 giorni prima richiesti (percorrendo la strada dei Giovi) a 5-6 ore. Il costo del trasporto delle merci, sulla base delle tariffe ferroviarie del 1860, si riduce anche dell’80% rispetto a quello sostenuto percorrendo la via carrabile.
Nuove iniziative imprenditoriali possono così svilupparsi in un contesto più favorevole e con la consapevolezza di trovare nel governo piemontese un interlocutore attento.
Anche nel settore industriale compaiono però sulla scena imprese nuove, tanto nel campo delle public utilities - come la “Compagnie d’Eclairage par le Gaz” sorta nel 1846 - quanto nel comparto metalmeccanico. Nel 1845 inizia l’attività la fonderia Pezzi a Cogoleto nel 1846 aprono le officine meccaniche Westermann a Sestri Ponente e la Taylor e Prandi a Sampierdarena. Proprio quest’ultima, con la denominazione di Ansaldo, è destinata a diventare la più importante impresa industriale della storia genovese, e non soltanto, dell’Otto e del Novecento.
Altre imprese sorgono a Sampierdarena alla metà dell’Ottocento: tra esse la fonderia con annessa officina meccanica creata dall’ingegnere scozzese Thomas Robertson. Altri scozzesi, John Wilson e Alexander Maclaren, trovano lavoro dopo la guerra di Crimea proprio nello stabilimento di Robertson, rispettivamente come capo tecnico e come ingegnere, per poi fondare una propria officina sul litorale. Il quadro della Liguria industriale si va dunque modificando e il settore meccanico si affianca ai tradizionali comparti tessile e alimentare.
Il decollo industriale: dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale
L’industria della regione ligure conosce un importante salto di qualità negli anni Ottanta del XIX secolo.
Lo Stato promuove l’industrializzazione nella radicata convinzione che solo una robusta base industriale potesse permettere all’Italia di assumere quel ruolo di potenza europea che si pensava le dovesse competere; fondamentale in quest’ottica era il peso del settore metalmeccanico, legato alle commesse statali, militari in particolare, di fabbriche capaci di costruire grandi macchinari, navi da guerra e mercantili, materiali d’artiglieria e corazze e, alla fine del secolo, anche i nuovi prodotti del nascente settore elettrotecnico. Produzioni su commessa richiedenti adeguate competenze tecnologiche e scientifiche, realizzabili in stabilimenti di ragguardevoli dimensioni: su tutto ciò punta la borghesia industriale genovese.
È una scelta che premia il mondo imprenditoriale e caratterizza Genova in età giolittiana (1903-1914) come uno dei poli del triangolo industriale del paese.
Le scelte di investimento privilegiano settori quali il siderurgico, il navalmeccanico legato alle forniture statali, il cotoniero e il saccarifero. Nello stesso periodo si consuma la crisi della marineria velica, tradizionale asse portante dell’economia di Genova, di fronte all’ormai evidente affermazione della navigazione a vapore.
Il ceto armatoriale genovese opera un rilevante trasferimento di capitali dal comparto marittimo a quei rami dell’industria che, grazie ai provvedimenti governativi, possono garantire più sicuri margini di profitto.
Erasmo Piaggio ed Edilio Raggio, entrambi esponenti prestigiosi dell’armamento, sono indiscussi protagonisti di tale processo. Il primo entra nel settore dello zucchero (Raffineria Genovese, 1888) e poco dopo in quello navalmeccanico: prima fondando nel 1890 la Società Esercizio Bacini per la riparazione di grandi navi, più tardi acquisendo la maggioranza azionaria della Cantieri Navali Riuniti, che diverrà in seguito uno dei maggiori nomi della cantieristica navale. Raggio rileva una ferriera a Sestri Ponente nel 1880, dotandola del primo forno Martin-Siemens della Liguria, e partecipa nel 1899 alla costituzione della società Elba; investe inoltre in imprese saccarifere (tra queste la Ligure Lombarda) e cotoniere.
Accanto a questi personaggi provenienti dal mondo armatoriale si distinguono imprenditori quali i fratelli Bombrini o Attilio Odero, in prima persona o per ragioni di famiglia interessati alla navalmeccanica, che potenziano gli impianti delle aziende.
Dagli anni Ottanta dell’Ottocento alla prima guerra mondiale la crescita dell’apparato manifatturiero genovese è costante e ci limitiamo qui a ricordare solo alcuni marchi: nel 1895 viene fondata, su spinta della tedesca AEG, la S.A. Unione Italiana Tramways Elettrici (poi UITE e oggi AMT), nel 1899 viene istituita la Silos di Genova e sempre in quell’anno la società Eridania fabbrica di zucchero e la Molini Alta Italia che a sua volta controlla numerose altre società; è del 1906 la compagnia di navigazione Lloyd Sabaudo; nel 1907 nasce la “Gaslini” industria olearia che, con una trentina di stabilimenti assunse una posizione dominante nel mercato oleario italiano. La Gaslini controllava altresì numerose aziende nel settore della trasformazione agricola, in quello della pesca ed anche nel settore bancario.
Nel 1903 il Consorzio Autonomo del Porto subentra a Camera di Commercio, Capitaneria e Genio civile nella gestione del porto di Genova.
Il “censimento degli opifici e delle imprese industriali” del 1911 fotografa i cambiamenti avvenuti nel settore secondario nell’arco di un trentennio. Gli addetti all’industria nel circondario di Genova sono 84.462: di questi 30.250 lavorano nel settore metalmeccanico, 20.411 nei comparti che utilizzano prodotti agricoli, della caccia e della pesca, 16.005 nel tessile, che ha quindi definitivamente perduto il suo primato.
La corsa agli armamenti del primo Novecento e la conseguente ripresa delle commesse pubbliche danno nuovo slancio a un tessuto produttivo che può superare la crisi del 1907 e appare sempre più segnato dalla centralità dell’industria pesante. Questa “monocoltura industriale” si rafforza negli anni della prima guerra mondiale, allorché si assiste a un notevole ingrandimento degli impianti e a una crescita altrettanto consistente dei livelli occupazionali.
Questo ben definito modello di sviluppo economico caratterizza anche le realtà urbane di Savona e La Spezia.
Nell’area savonese alla ferriera fondata nel 1861 dai savoiardi Giuseppe Tardy e stefano Benech (poi rilevata nel 1892 e potenziata dalla Terni) si affiancano le officine meccaniche Servettaz e altre imprese di minori dimensioni. Il processo di espansione delle attività produttive sul territorio investe ai primi del Novecento Vado Ligure, che completa la sua trasformazione da borgo marinaro in centro industriale: vi si insediano nel 1906 una fabbrica di refrattari per la siderurgia e nel 1907 la statunitense Westinghouse che apre uno stabilimento per la produzione di locomotive elettriche. Sempre a Vado, alla fine dell’Ottocento, viene collocato un deposito costiero di prodotti petroliferi, successivamente acquisito dalla Società Italo Americana pel petrolio. Siamo ancora nell’ “età del carbone”, che abbondante arriva dall’Inghilterra nei porti di Genova e Savona, ma è significativo questo precoce esordio del settore petrolifero che tanta importanza avrà nel secolo seguente. Nella Val Bormida si localizzano invece alcune imprese del settore chimico: la Società italiana prodotti esplodenti (SIPE), con il suo dinamitificio, e la Ferrania a Cengio.
A La Spezia risulta decisiva la decisione assunta già dal parlamento del regno sardo nel 1857, su proposta di Cavour, di creare un grande arsenale navale militare dove per conto della Regia marina si effettuano riparazioni sul naviglio e sino alla prima guerra mondiale costruzioni di imbarcazioni di vario tonnellaggio. Ai primi del Novecento l’Arsenale occupa più di 5.000 addetti e funge da volano alla crescita industriale della città, favorendo la collocazione di numerose imprese private (ad esempio le officine del Muggiano della Cantieri Navali Riuniti e della Fiat-Muggiano, poi Fiat San Giorgio). In tarda età giolittiana la multinazionale britannica Vickers decide di impiantare d’intesa con la Terni proprio a La Spezia un moderno stabilimento per la produzione di materiale d’artiglieria. L’espansione demografica della città (31.565 abitanti nel 1881, 68.203 nel 1911) è diretta conseguenza dell’avvenuta industrializzazione.
Resta escluso da questo processo l’estremo Ponente ligure. Scarsa è la presenza dell’industria, fatta eccezione per talune aziende (Agnesi, Sasso, Carli, Isnardi, Berio) attive nel settore dell’olio e della pasta, che tra il 1890 e il 1914 stimolano la crescita economica della provincia; questa è comunque prevalentemente dedita all’agricoltura, al terziario e alla nascente “industria del turismo”, che garantisce a località quali Sanremo e Bordighera una fama internazionale.
Da segnalare la nascita, a Chiavari nel 1870, ad opera di imprenditori locali, di un Banco di Sconto del Circondario di Chiavari che nel 1921 assume la ragione sociale Banco di Chiavari e della Riviera Ligure e diventa uno dei più importanti istituti di credito del capoluogo ligure.
La Grande Guerra, la crisi del dopoguerra e gli anni Venti con una nuova classe imprenditoriale
L’inizio nel 1914 della prima guerra mondiale, cui dal 1915 l’Italia partecipa direttamente, segna il momento di gloria di quel complesso militar-industriale che era venuto irrobustendosi nei precedenti decenni. Lo Stato interviene massicciamente nel dirigere la produzione bellica: è cliente delle imprese generoso nei pagamenti, provvede col sistema della mobilitazione industriale a privilegiare in vari modi gli stabilimenti che vengono dichiarati ausiliari allo sforzo bellico: garantisce ad essi più regolari rifornimenti di materie prime, dispensa dalla chiamata alle armi gli operai specializzati difficilmente sostituibili ed esenta dal servizio militare altri lavoratori che vanno a gonfiare gli organici delle imprese metalmeccaniche.
Il numero delle officine “ausiliarie” in Liguria rende chiara la portata del fenomeno: esse sono 56 nel 1915 e 200 nel 1918, allorché occupano quasi 150.000 persone (70.000 sono lavoratori metalmeccanici impiegati nelle fabbriche del circondario di Genova).
La vicenda dell’Ansaldo, ora di proprietà dei fratelli Mario e Pio Perrone, è emblematica di questa eccezionale congiuntura. L’Ansaldo cresce, moltiplica i suoi stabilimenti (se ne conteranno 30 di cui 22 nell’area genovese), assume nuovi operai che nel 1918 ammontano a circa 60.000 (80.000 sono gli addetti del gruppo comprendendovi anche le società controllate).
Dalle fabbriche Ansaldo escono cannoni, apparati motori, corazze, proiettili, navi e anche aeroplani.
All’innovativa produzione aeronautica si dedica dal 1915 anche la Piaggio, negli stabilimenti di Sestri Ponente e di Finale Ligure.
Al boom, della meccanica si accompagna la crescita della siderurgia, che alla prima è strettamente collegata. Imprese quali l’ILVA, la Siderurgica di Savona, le Ferriere di Voltri fondate dai Tassara (tutte destinate a essere assorbite nella prima) e la Bruzzo concorrono a portare nel 1917 la produzione regionale di acciaio a 422.000 tonnellate (il 32% della produzione nazionale).
La situazione muta però radicalmente con la fine delle ostilità: è necessario passare dalle produzioni di guerra a quelle di pace e tutto ciò deve avvenire in un contesto difficile sotto il profilo sociale e politico. Sotto il profilo economico la crisi postbellica in Liguria è punteggiata da crolli (clamorosi quelli dell’Ilva e dell’Ansaldo dei Perrone, allora le due principali società manifatturiere italiane) e ridimensionamenti; maggiore diviene il coinvolgimento delle banche miste nella proprietà delle imprese come la Banca Italiana di Sconto; lo Stato interviene direttamente a sostegno di aziende che non riescono, o non possono, operare la riconversione a produzioni di pace. La Banca Commerciale Italiana controlla l’Ilva siderurgica, affidata alla direzione di Arturo Bocciardo; la Banca d’Italia, attraverso il Consorzio Sovvenzioni Valori Industriali, dispone delle azioni dell’Ansaldo privatizzata nel 1925 e legata poi al Credito Italiano (nata nel 1870 dalla preesistente Banca di Genova). Negli anni Venti si succedono dunque pesanti ristrutturazioni e fasi di fragile ripresa. Le principali aziende manifatturiere della Liguria, la quasi totalità delle grandi imprese metalmeccaniche, sono ormai controllate dal sistema bancario.
È del 1924 l’avvio dell’attività armatoriale della famiglia Costa già dal 1849 presente in campo oleario e che, con il secondo dopoguerra sviluppa forti interessi nei settori tessile, meccanico, edile e alberghiero; il 1924 è anche l’anno di nascita, a Genova, della Mira Lanza, società che arrivò negli anni Sessanta-Settanta a detenere, in Italia, la leadership nella produzione di detersivi. E’ del 1926 l’avvio della Caramelle San Giacomo (poi Dufour e quindi nel 1975 Elah Dufour) ad opera dei Dufour, famiglia di imprenditori di origine francese, attiva sin dalla metà dell’Ottocento nei settori immobiliare e alimentare.
Fondazione Ansaldo
Villa Cattaneo dell’Olmo, Corso F.M. Perrone 118, 16152, Genova, Italia
C.F. e P.Iva 03861620106