26 luglio
Oscar Sinigaglia (1877-1953):
un tecnico tra Stato e industria
di Cesare Vagge
di Cesare Vagge
Il 30 giugno è ricorso il 70° anniversario della scomparsa di Oscar Sinigaglia, uno dei maggiori protagonisti della politica industriale italiana a cavallo tra il periodo interbellico e il secondo dopoguerra. Conosciuto principalmente per il suo contributo alla ristrutturazione e modernizzazione della siderurgia italiana, Sinigaglia appartenne a quel gruppo di tecnici prestati alla funzione pubblica che contribuirono al tentativo di rilancio del nostro paese come grande potenza industriale tra il periodo fascista e la Prima Repubblica, e alla nascita dello “stato-imprenditore” italiano.
Oscar Sinigaglia
Nato il 20 ottobre 1877 in una famiglia della borghesia ebraica imprenditoriale romana, Sinigaglia conseguì la laurea in ingegneria civile presso la Regia Scuola di Applicazione di Roma nel 1902 e gestì una sua azienda siderurgica, la Ferrotaie, fino al 1916. Da ingegnere civile, il giovane Sinigaglia prese parte ai soccorsi che seguirono il terremoto di Messina del 1908 e con altrettanto entusiasmo contribuì alla mobilitazione industriale italiana durante la Grande Guerra, divenendo funzionario del Ministero delle Armi e delle Munizioni. Indicativa della determinazione di Sinigaglia di dedicare le sue energie alla funzione pubblica fu la sua decisione di vendere la Ferrotaie al gruppo ILVA, allora uno dei nascenti colossi siderurgici italiani. La conclusione del primo conflitto mondiale segnò il passaggio di Sinigaglia dall’interventismo ai fasci di combattimento, ai quali aderì già nel 1919, partecipando all’impresa fiumana assieme a Gabriele D’Annunzio.
L’adesione di Sinigaglia al Fascismo fu figlia non solo del suo interventismo, ma anche del suo profilo di tecnico-industriale. Come ricordato dal sociologo Camillo Pellizzi (1896-1979), il Fascismo delle origini poneva l’accento non solo sulla necessità di un partito-milizia figlio dell’esperienza bellica, ma anche di una riforma corporativa dello stato che avrebbe permesso ai tecnici e ai “competenti” di soppiantare una classe politica di notabili liberali incapaci di risolvere i problemi legati alla graduale trasformazione dell’Italia in una moderna società industriale. Secondo tale concezione, i tecnici sarebbero divenuti i mediatori chiave tra lo stato e l’economia, permettendo dunque alla giovane nazione di affrontare le sfide della rivoluzione industriale e temprare gli inevitabili conflitti sociali scaturiti da essa. È dunque in funzione di queste istanze riformatrici di stampo autoritario, tecnocratico e corporativo che va inquadrata l’adesione di Sinigaglia al Fascismo.
Nel frattempo Sinigaglia si dedicò allo studio della riconversione dell’industria italiana dall’economia di guerra a quella di pace. Come rilevato dalla storica Antonia Carpparelli, una delle maggiori preoccupazioni di Sinigaglia e altri tecnici provenienti dal Ministero delle Armi e delle Munizioni era la risoluzione del “problema siderurgico italiano”, cioè il permanere in Italia di un’industria siderurgica dalla struttura irrazionale, caratterizzata da impianti obsoleti ed eccessivamente dispersi. Le maggiori conseguenze di questa situazione erano alti costi di produzione e il sottosviluppo dell’industria meccanica nazionale. Prendendo in esempio il modello giapponese, Sinigaglia riteneva che l’Italia potesse dotarsi di una moderna siderurgia a ciclo integrale, dotata di grandi stabilimenti collocati vicino al mare per facilitare il rifornimento di minerali esteri, e capace di favorire lo sviluppo della vitale industria meccanica fornendo materie prime a basso costo. Tuttavia, negli anni ’20, marcati dalla permanenza di “una siderurgia senza tecnici” e ancora prevalentemente in mani private ostili a radicali riforme della struttura industriale italiana e maggiormente interessate ad aumentarne il grado di concentrazione finanziaria, i progetti di Sinigaglia non trovarono sbocco. Inoltre, Nonostante la propria iniziale retorica tecnocratica e statalista, il regime mussoliniano abbracciò il liberismo comune a tutti i paesi europei, determinati a restaurare l’iniziativa privata in ambito industriale. Gli anni ’20 non furono esenti da importanti salvataggi governativi di grandi complessi meccanico-siderurgici come ILVA e Ansaldo, ma questi furono restituiti al capitale finanziario privato senza l’imposizione delle riforme di struttura auspicate da tecnici come Sinigaglia. Impianti a ciclo integrale come quelli dell’ILVA operavano dunque al di sotto delle proprie capacità, mentre le ben più piccole acciaierie a forno elettrico possedute da Falck, FIAT e Breda beneficiavano della protezione doganale e dell’ampia disponibilità di rottami derivata dal conflitto.
Fonderie e Acciaierie di Cornigliano, 1916
Fu solo in seguito alla Grande Crisi dei primi anni ’30 ed all’inaugurazione della fase più marcatamente dirigista della politica economica Fascista che Sinigaglia ed i suoi colleghi ebbero l’opportunità di rilanciare i propri progetti. Fu così che 1932, il Ministro delle Finanze Guido Jung (1876-1949) nominò Sinigaglia presidente dell’ILVA. Quest’ultima era passata alla finanziaria semi-pubblica SOFINDIT, in seguito al crollo della Banca Commerciale Italiana (BCI), la più importante delle tre “banche d’interesse nazionale” che avevano acquisito gran parte del sistema industriale italiano nel decennio successivo alla Grande Guerra. Nel 1933 l’ILVA passò al neonato Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), del quale Sinigaglia divenne uno dei manager di spicco e dunque uno dei fautori della “rivoluzione dei tecnici” che caratterizzò la pubblica amministrazione e l’industria italiana negli anni ’30. Come ricordato dal suo collaboratore Gian Lupo Osti (1920-2012) lo statalismo di Sinigaglia era principalmente pragmatico: egli era consapevole che solamente lo stato fosse in grado di risolvere il problema siderurgico italiano, poiché l’iniziativa privata non aveva mostrato alcun interesse a ristrutturare tale settore. Sinigaglia era tuttavia fermamente convinto che per portare a termine tale compito, lo “stato-imprenditore” richiedesse organi elastici, indipendenti dalla burocrazia ministeriale e guidati da tecnici provenienti dal mondo dell’industria.
Forte del sostegno di Jung, tra il 1933 e il 1935 Sinigaglia e i suoi collaboratori nominati dall’IRI lavorarono ad un piano di ristrutturazione mirato a riammodernare gli impianti a ciclo integrale dell’ILVA (Bagnoli e Piombino) e concentrarvi gran parte della produzione siderurgica di massa italiana. Questo primo tentativo tuttavia fallì, a causa delle dimissioni di Jung e l’opposizione dei quadri dirigenti che l’ILVA aveva ereditato dalla precedente gestione privata. Le successive dimissioni di Sinigaglia nel 1935 furono seguite dal suo definitivo allontanamento dalla vita pubblica tre anni più tardi a causa delle leggi razziali del 1938. Nel frattempo, il testimone della riforma siderurgica italiana passò all’ing. Agostino Rocca (1895-1978), allievo di Sinigaglia, e dal 1938 direttore generale della nuova finanziaria siderurgica dell’IRI, la FINSIDER. Il risultato degli sforzi di Rocca fu il “piano autarchico” per la siderurgia, elaborato nel 1937 prima in sede IRI e poi rivisitato da imprenditori privati, sindacalisti e funzionari del Ministero delle Corporazioni. Nella sua versione finale, il piano prevedeva l’ammodernamento dell’ILVA auspicato da Sinigaglia, e la costruzione di un nuovo impianto a ciclo integrale a Genova-Cornigliano, ma limitava le quote di produzione di tali acciaierie al di sotto della loro capacità produttiva, al fine di proteggere le quote di mercato dei siderurgici privati come Falck e FIAT. Tale compromesso fu aggravato dalle distruzioni subite dalla FINSIDER durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolar modo dallo smantellamento della nuova acciaieria genovese da parte dei tedeschi nel 1944.
Nel frattempo, Sinigaglia, rifugiatosi in Vaticano durante l’occupazione tedesca e convertitosi al cattolicesimo, ebbe modo di stringere un’alleanza con la neonata Democrazia Cristiana (DC), guadagnandosi la fiducia personale di Alcide De Gasperi. Forte dei suoi nuovi appoggi politici, Sinigaglia fu nominato Commissario Straordinario della FINSIDER nei primi mesi del 1945, con il compito di coordinare la ricostruzione dei suoi impianti. Tra la Liberazione e l’estate del 1947 Sinigaglia fu uno dei tanti tecnici dell’IRI che nonostante la loro precedente partecipazione alla politica industriale del fascismo, si affiancarono agli esperti legati alla Resistenza al fine di riattivare l’industria italiana nell’immediato dopoguerra. Fu proprio in questo contesto che Sinigaglia collaborò con il socialista Rodolfo Morandi (1902-55), Ministro dell’Industria e del Commercio tra il 1946 e il 1947, al rapporto sulla riconversione post-bellica dell’industria italiana, redigendone lo studio sul settore siderurgico. Inoltre, come Vice-Presidente dell’IRI tra il novembre 1946 e il luglio 1947, Sinigaglia lavorò assieme all’economista comunista Antonio Pesenti (1910-73), suo parigrado. Ciò che accumunava Sinigaglia a questi uomini dai percorsi politici opposti al suo, era la ferma convinzione che l’apparato produttivo italiano richiedesse un sostanziale aggiornamento tecnico-organizzativo e che l’IRI costituisse l’organo ideale per portarlo a compimento nell’ambito della ricostruzione. Questa era anche la convinzione di Rocca, il quale, nonostante la sua epurazione dalla pubblica amministrazione nel 1945, fornì a Sinigaglia gli studi necessari al rilancio del piano siderurgico interrotto dalla guerra. La corrispondenza Rocca-Sinigaglia del 1945-46 guidò inoltre l’ingegnere romano nel reclutamento degli ex collaboratori di Rocca – Ernesto Manuelli, Guido Vignuzzi e Mario Marchesi – i quali divennero i maggiori esponenti del “brain trust” della FINSIDER postbellica.
In seguito alla svolta centrista del 1947-48, Sinigaglia e i suoi nuovi collaboratori si adoperarono per varare una versione aggiornata del piano steso da Rocca, la quale prevedeva la ricostruzione di Cornigliano e il riammodernamento di Bagnoli e Piombino con tecnologia americana. Come ricordato dallo storico inglese Paul Ginsborg, il ruolo di Sinigaglia può essere paragonato a quello di Enrico Mattei all’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). Sinigaglia riuscì a porre un ex strumento del dirigismo fascista al servizio della ricostruzione postbellica del paese, nonostante l’ostilità della Confindustria e dei redivivi Falck. Entro il 1948-49, la FINSIDER ottenne l’accesso ai fondi Marshall necessari al finanziamento del suo piano, evitando questa volta interferenze da parte di organi burocratici capaci di alterarne l’esito a favore dei privati. Il “piano Sinigaglia” permise all’IRI di diventare il più importante produttore nazionale di acciaio entro la metà degli anni 50 e quindi di rilanciare l’industria meccanica nazionale nell’ambito del “miracolo economico”. Sinigaglia morì poco prima dell’ultimazione del nuovo stabilimento di Cornigliano, il quale prese il nome del defunto ingegnere.
A più di 70 anni dalla scomparsa di Sinigaglia, lo stabilimento a caldo di Cornigliano ha ormai cessato di esistere e negli ultimi 20 anni il concetto di politica industriale è stato considerato tabù nelle principali cancellerie europee. Tuttavia, la recente acquisizione da parte dello stato italiano di un’importante quota azionaria di Arcelor-MIttal Italia, uno degli eredi principali del patrimonio siderurgico di IRI-FINSIDER, pone l’accento su un possibile ritorno della siderurgia pubblica italiana, fortemente incoraggiato dall’altrettanto recente riconoscimento della necessità di una strategia industriale da parte dei maggiori leader europei. In Francia gli ingegneri della Direzione Generale delle Imprese (DGE) al ministero dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità Industriale, stanno tuttora definendo un ambizioso piano settoriale, mirato a spingere la siderurgia francese – anch’essa dominata da Arcelor-Mittal – ad investire in nuove tecnologie in grado di consentire ai propri impianti di produrre acciaio utilizzando l’idrogeno, in sostituzione dell’assai più inquinante coke. Qualora il governo italiano dovesse seguire il modello francese, l’esperienza di Oscar Sinigaglia dovrà servire da esempio per qualunque leader politico intenzionato a ripensare il ruolo della funzione pubblica nella programmazione del nostro futuro sviluppo industriale.
Progetto per la costruzione degli stabilimenti Italsider di Genova Cornigliano, agosto 1945
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