di Michela Ciarapica e Davide Trabucco.

Per raccontare la figura di Pasolini, la sua genialità, l’immaginario, le idee e le opere non basterebbero mille storie.

Molti aspetti di lui e del suo lavoro vengono presentati nel progetto ideato da Massimo Minella e Sergio Maifredi, “Smisuratamente, pazzamente Pasolini”, strutturato in quattro incontri visibili sul canale You Tube dell’Università di Genova:

-         L’ultimo poeta civile
-         La folgorazione figurativa
-         La forma della città
-         Con le ali ai piedi

Letteraturaarteurbanistica e calcio sono i temi conduttori delle puntate registrate all’Università di Genova e a Villa Cattaneo dell’Olmo, nostra sede, in collaborazione con il Teatro Pubblico Ligure.

Qui proveremo a ripercorrere brevemente la storia di Pasolini in funzione di una domanda: qual era il suo pensiero riguardo al progresso socio-economico e all’industrializzazione? Elementi centrali per la nostra Fondazione.

 smisuratamente

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922 in una foresteria militare, ma fu solo uno dei tanti luoghi in cui visse: i trasferimenti, fin dalla sua nascita, furono frequenti fino a raggiungere una cadenza quasi annuale. Unico punto fermo fu Casarsa, casa materna protagonista dei periodi estivi e non solo.

«Vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana …»

Nel 1937 la famiglia si stabilisce a Bologna per 5 anni, periodo in cui Pasolini conclude gli studi liceali e inizia la carriera universitaria frequentando la facoltà di Lettere. Qui riceve un notevole stimolo intellettuale grazie alle lezioni di Roberto Longhi, grande storico e critico d’arte.

È un periodo molto ricco e stimolante per Pasolini, dove stringe importanti amicizie che lo portano nell’estate del ‘41 ad ideare, insieme ad altri tre ragazzi, una rivista intitolata Eredi, mai pubblicata e alla quale vuole conferire un programma sovraindividuale:                                             

«Davanti a Eredi dovremmo essere quattro, ma per purezza solo uno»

È in questi anni che emerge in Pasolini la voglia di oltrepassare l’individualità del singolo per creare contenuti e valori che elevino comunemente la società della quale si fa sempre più spettatore critico: osserverà e studierà il sottoproletariato urbano e in particolare loderà la vitalità, l’istinto e la purezza della gente delle borgate romane. Per contro disprezzerà gli aspetti individualistici che renderanno la società, soprattutto con le trasformazioni dovute al boom economico, a suo dire impersonale, distaccata e devota al capitalismo e al consumismo.

Pasolini esprime molto bene questi pensieri, nella propria poetica, attraverso l’uso del linguaggio dialettale, considerato di fondamentale importanza perché specchio della purezza di un’identità socio-culturale genuina e per certi versi primitiva.  Non a caso la sua prima pubblicazione è un libretto di poesie in friulano, stampato a proprie spese nel ‘42, che ottiene il plauso critico del filologo Gianfranco Contini. Inoltre, per promuovere il dialetto, fonda 3 anni dopo con alcuni amici l’Accademia di lengua furlana. Difende strenuamente i dialetti perché considera la lingua italiana un sottoprodotto generato da una cultura sempre più omologata, che riduce il comunicare ad un insieme di vocaboli privo di poetica, stereotipati e semplificati, esasperati in seguito anche dall’avvento della televisione. 

Nell’immediato Dopoguerra inizia ad avvicinarsi agli ideali comunisti e scrive sul quotidiano Libero di Udine:

«Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura "vera", [...] una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell'esistenza»

Osserva così le nuove esigenze di giustizia nate dal rapporto tra il padronato e i lavoratori e non esita a schierarsi dalla parte dei più umili. Cerca così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scrive all'amica poetessa Giovanna Bemporad:

«L'altro è sempre infinitamente meno importante dell'io ma sono gli altri che fanno la storia.»

Ed è con lo sguardo rivolto agli ultimi che nasce l’importante decisione di aderire al Partito Comunista Italiano. Significativi per il pensiero di Pasolini sono gli scontri tra manifestanti e polizia a cui assiste tra il 1947 e il 1949 mentre insegna alla scuola media di Valvassone. Parlando con i giovani contadini, anch’essi aderenti al PCI, prende forma il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solamente nel 1962 con il titolo di Il sogno di una cosa.

Nel 1950 si trasferisce nella Città Eterna in seguito a una vicenda giudiziaria che lo vide assolto ma che lo portò ad allontanarsi definitivamente dal paese materno. Gli anni romani sono protagonisti di una febbrile attività negli ambienti letterari e di appassionato studio. Si dedica maggiormente alle opere di narrativa e inizia a scrivere sceneggiature per il cinema, senza mai abbandonare la poesia. Qui stringe una forte amicizia con Alberto Moravia, Elsa Morante, Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci.

Nel 1955 fonda a Bologna, insieme a Francesco Leonetti e Roberto Roversi, la rivista Officina, che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile Eredi e pubblica il suo primo romanzo che ottiene un enorme successo: Ragazzi di vita.

Il testo racconta delle vicende del sottoproletariato urbano attraverso i giovani che vivono nelle borgate romane, ambienti degradati e frequentati dallo stesso Pasolini. I personaggi sono come dei ritratti dell’anima dell’autore, nella loro esistenza errabonda, priva di speranza per il futuro. Incarnano i valori della tradizione che Pasolini tenta di salvare dalle grinfie del “dio denaro”, ma che non riescono a sopravvivere a una società sempre più omologata, come i prodotti di fabbrica.

Questo lo si vede bene nel protagonista, Riccetto, che trascinato da quell’istinto primordiale scevro da interessi individuali, non esita a rischiare la propria vita per salvare una rondine caduta in un fiume. La povertà e l’ignoranza dovute a una condizione sociale molto difficile non vanno ad intaccare la ricchezza di spirito. Per contro, dopo un miglioramento della condizione socio-economica del protagonista, che ha trovato lavoro come manovale, la sua purezza d’animo viene meno al punto da farlo desistere nel ripetere nuovamente il gesto di salvataggio, lasciando così affogare un suo amico d’infanzia.

La morte di Genesio rappresenta quindi per Pasolini la morte dell’umanità, che sta affogando nell’indifferenza e nell’individualismo a favore del progresso e del capitalismo.

Pasolini assume una posizione centrale nel panorama della cultura italiana. Il contenuto “scabroso” dei suoi romanzi, come Una vita violenta, fanno di lui un caso letterario e, attraverso le polemiche di natura politico-intellettuale, viene inquadrato nello scomodo ruolo di “intellettuale di sinistra”.

L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora, il fascismo.”

Negli anni ‘60, attraverso la direzione della rivista Nuovi Argomenti, condivisa con Moravia e Alberto Carrocci, il suo dissenso nei confronti della cultura ufficiale e della morale borghese diventa radicale. Assume una posizione sempre più netta, critica e provocatoria che condanna la civiltà tecnologico-industriale, irrimediabilmente ipocrita e colpevole di aver omogeneizzato e cancellato la ricca molteplicità delle culture.

«Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua […] sono cominciate a scomparire le lucciole. […] Sia il grande paese che si stava formando dentro il paese – cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI – sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano scomparendo”»

Pasolini critica in modo distruttivo, senza proporre soluzioni alternative concrete. Forse perché consapevole dell’impossibilità di un ritorno al passato, a quell’umanità primitiva, spietata ma vera nelle emozioni, nelle azioni e nelle relazioni, fonte di una felicità che nessun progresso è in grado di generare.

Le sue opere mostrano però interessanti vie di approfondimento, è compito nostro interrogarci su come conciliare il progresso con la purezza della natura in funzione di una vera elevazione socio-culturale.

La sfida è ardua ma allo stesso tempo stimolante; bisogna pensare a soluzioni sostenibili, immaginare l’industria in una maniera alternativa, rispettosa dell’ambiente, per un’economia non solo orientata al profitto, ma al benessere e a un miglioramento della qualità della vita, che ha bisogno di rimanere libera da ogni omologazione quanto la spontaneità di una parola dialettale.

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.

Da
Poesia in forma di rosa (1961 – 1964)