
4 aprile
100 anni dell’Ente Bacini
di Claudia Cerioli
di Claudia Cerioli
A fine Ottocento il porto di Genova si presenta in forma smagliante, nonché il principale scalo del Regno Sabaudo. Di qui passava il 90% del cotone, il 22% delle materie prime siderurgiche, il 40% delle granaglie, il 35% del carbone, arrivando a movimentare 7,5 milioni di tonnellate di merci.
A protezione del bacino portuale erano stati eretti nel corso degli anni Ottanta dell’Ottocento, grazie alla donazione di Raffaele De Ferrari, il Molo Occidentale, poi ribattezzato Duca di Galliera in onore del suo finanziatore (1.500 m) e il Molo Orientale, poi Molo Giano (595 m). A ridosso di quest’ultimo, già nel 1888 inizia la costruzione di un centro di carenaggio e riparazioni navali con due bacini, dotati di un moletto di protezione, il molo Guardiano (365 m) e di 800 metri di accosti. Il primo bacino entra in funzione nel 1893, mentre il secondo è già in funzione l’anno prima.
Per la gestione dei due bacini nel 1889 viene costituita la Società Esercizio Bacini, di cui il primo amministratore delegato è Erasmo Piaggio che si accorda tramite la Banca di Genova, amministrata sempre da Piaggio, con la svizzera Ditta C. Zschokke & P. Terrier, costruttrice dei due bacini, per prenderli in affitto e gestirli per novant’anni insieme all’Officina Meccanica situata presso Calata delle Grazie. All’interno del primo Consiglio di Amministrazione sedeva, oltre all’elvetico Conrad Zschokke, anche Giovanni Bombrini, gerente della più importante industria meccanica e cantieristica di Genova e del Regno, la Gio. Ansaldo & C.
Con la nascita e lo sviluppo della Società Esercizio Bacini, il porto di Genova si configura sempre di più, oltre che come preminente centro commerciale, come polo industriale legato alle riparazioni e all’allestimento navale. Nel 1893, anno in cui entra in funzione il bacino n. 1, sono 670 i bastimenti che transitano in bacino, di cui 455 (68%) erano piroscafi a vapore che richiedevano, accanto alla cura dello scafo in ferro, riparazioni complesse anche dell’apparato motore, delle caldaie ed altre parti meccaniche. Alla fine dell’Ottocento nei bacini di carenaggio lavoravano circa un migliaio di persone tra calafati, maestri d’ascia, carenanti, verniciatori, picchettini e falegnami di bordo. A questi si aggiungevano gli operai delle officine meccaniche che si erano venute installando nell’area portuale, a cominciare da quelle di Enrico Cravero (rilevate poi da Attilio Odero), poi da quelle Ansaldo e dalle due realizzate dalla Esercizio Bacini stessa. La manodopera impegnata in queste officine si aggirava attorno alle 500 unità nel 1890 e a oltre 1.500 nel 1902. Riassumendo, secondo stime plausibili, si può ipotizzare che le funzioni portuali offrissero lavoro a circa 10.000 persone all’inizio del Novecento (di cui però poco meno della metà militari o comunque legati alla Regia Marina). Considerando anche il nucleo famigliare degli addetti ai lavori si può affermare che un genovese su dieci vivesse grazie ai proventi derivanti dai bacini.
L’Ansaldo dei Bombrini e dei Perrone giocò sicuramente un ruolo importante nello sviluppo e nell’incremento delle attività dei bacini, visto che dagli anni Novanta dell’Ottocento al 1910 uscirono dai cantieri ansadini, per essere poi allestiti nei bacini delle Grazie, circa 120 navi tra militari e civili, passeggeri e merci. Fondamentale per le operazioni di allestimento e di riparazione, era la dotazione di pontoni e gru galleggianti. Poter disporre di gru di grande potenza che potessero muoversi liberamente attorno agli scafi da allestire, con castello girevole e braccia inclinabili, offriva infatti un vantaggio notevole rispetto alle gru da banchina o ai pontoni a bigo utilizzati fino alla fine degli Ottanta dell’Ottocento. Anche i bacini genovesi vivono l’evoluzione delle gru galleggianti, dal primo pontone a vapore realizzato dall’Ansaldo nel 1889, il Polcevera, alla dotazione, sempre per l’Ansaldo, di una gru galleggiante a traliccio rotante e braccio elevabile, la Giulio Cesare, realizzata per l’Officina Allestimento Navi di Molo Giano dalla ditta olandese Gusto v/h A.F. Smulders. La Giulio Cesare, divenuta in seguito proprietà dell’OARN (Officine Allestimento Riparazione Navi) sarà protagonista dei lavori in bacino fino alle soglie degli anni Duemila, quando venne demolita.
Quando il porto lavora, Genova lavora. La città si rispecchia nel suo mare e nei suoi scali, ne trae ricchezza e ne coglie le potenzialità. Questo concetto è alla base dell’operato di Nino Ronco, presidente del Consorzio Autonomo del Porto dal 1909 al 1922, e del suo ingegnere capo Enrico Coen-Cagli. Nel 1913 Ronco entra a far parte del comitato organizzatore dell’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta a Genova l’anno successivo, e immediatamente pensa a come collegare il porto agli spazi espositivi di piazza di Francia, attuale piazza della Vittoria. La sua idea è quella di realizzare un collegamento continuo tra i padiglioni della mostra e le banchine, costruendo a Molo Giano il padiglione espositivo del Consorzio con annesso un ristorante vista mare e offrendo un servizio di battelli per visitare il porto. Il padiglione del Consorzio, un raffinato edificio in legno realizzato per l’occasione, era anche il punto di partenza di una ferrovia elettrica sospesa su monorotaia che dal mare arrivava in sei minuti fino alla foce del Bisagno e da lì lo risaliva fino a Brignole. Il Telfer fu una delle principali attrazioni dell’expo fino alla sua conclusione, per poi essere utilizzato, conclusa la mostra, per il trasporto di merci e carbone dal porto agli stabilimenti industriali posti sul Bisagno. Sarà attivo fino al 1916 circa quando poi venne progressivamente smantellato.
Una vita ben più lunga la ebbe invece il padiglione del Consorzio, passato di proprietà a fine guerra alla società Ansaldo per ospitare a partire dall’ottobre 1918 la mensa degli operai e tecnici dell’Officina Allestimento Navi. Lo “chalet”, come viene chiamato nella documentazione Ansaldo, venne ampliato nel 1920 con i materiali residuali della demolizione del Telfer, il terrazzo a mare venne chiuso per proteggerlo dalle intemperie così da realizzare un’ulteriore sala refettorio e venne aggiunta una seconda cucina, arrivando ad ospitare circa 500 operai e un centinaio di impiegati.
Con la Prima guerra mondiale tutte le società meccaniche e cantieristiche sono chiamate a sostenere lo sforzo bellico. Lo fa l’Ansaldo che, al netto della produzione di bocche da fuoco e munizioni, tra il 1915 e il 1918 vara e allestisce a Molo Giano oltre 50 unità militari, tra cacciatorpediniere, incrociatori corazzati, esploratori, sommergibili, torpediniere da costa e motobarche armate. Tra i primi esemplari ad essere consegnati alla Marina Militare l’Alessandro Poerio, entrato in servizio nel maggio 1915 come esploratore e poi convertito in cacciatorpediniere a fine guerra. La nave aveva un dislocamento a pieno carico di 1270 t, una lunghezza fuori tutto di 85 m e poteva raggiungere la velocità di 32 nodi grazie a tre caldaie Yarrow che alimentavano 2 turbine a vapore tipo Parsons. L’armamento iniziale era dato da sei bocche da fuoco da 102/35, due da 40/39 e 4 tubi lanciasiluri. Era inoltre dotato di attrezzature per il trasporto e la pose di 42 mine. Anche la Società Esercizio Bacini contribuisce in maniera notevole allo sforzo bellico, adibendo le sue officine alla produzione di bombarde, proietti per esse e per obici da 149.
Se la congiuntura bellica segna una pesante contrazione del traffico marittimo a livello nazionale, a Genova il ridimensionamento delle attività portuali è di dimensioni più ridotte e inizia a farsi sentire solo a partire dal 1917. Al contrario, in netto aumento rispetto agli ultimi anni prebellici è invece l’importanza dello scalo genovese in rapporto al sistema portuale del Paese. Nel 1917 il 31% delle merci in arrivo o in partenza via mare dall’Italia viene movimentato nel capoluogo ligure e, nel 1918, la quota genovese sul totale del traffico import – export è del 29%, e questo a causa soprattutto del tracollo dei porti adriatici. Genova rafforza così la propria funzione di pompa di alimentazione delle industrie del triangolo industriale al punto di divenire l’unico tramite di approvvigionamento dell’industria nazionale. Ma in questa particolare congiuntura risulta ancora più urgente la questione irrisolta della carenza di banchine, spazi portuali, approdi e magazzini. Il Consorzio, costretto ad interrompere a causa della guerra la costruzione di un nuovo bacino, è costretto a prendere in affitto con oneri non indifferenti nuovi magazzini, introduce nuove chiatte e utilizza bastimenti in disuso come depositi. Anche l’Ansaldo amplia la sua officina a Molo Giano e ottiene l’autorizzazione per introdurre tre nuove chiatte che si vanno ad aggiungere al suo già consistente parco mezzi. Mai come in questo periodo la babele portuale diventa ancora più concitata e caotica.
Con la pace, le forze in gioco e gli equilibri che si erano consolidati fino a quel momento vengono messi in discussione. Con la fine delle commesse statali l’Ansaldo dei Perrone si ritrova a farei conti con gravi criticità, come la riconversione delle produzioni, esuberi del personale, un eccesso di siti produttivi dislocati su 1.270.352 mq. I Perrone stessi vengono allontanati dalla società con l’accusa di sovra profitti di guerra e la società passa sotto il controllo della Banca d’Italia e muta la propria denominazione in Ansaldo S.A. In un’ottica di razionalizzazione degli impianti produttivi la nuova direzione nel 1924 scorpora l’Officina Allestimento Navi di Molo Giano che diventa società anonima a sé stante, compartecipata da Ansaldo e dalla Navigazione Generale Italiana.
Una strada simile la compie anche la Esercizio Bacini che nel febbraio 1925, al fine di separare l’esercizio dei bacini dalle officine meccaniche e dal Cantiere di Riva Trigoso, costruito nel 1897, costituisce la Società Anonima Ente Bacini, partecipata dalla Società Esercizio Bacini, dalla società Ansaldo, e da ventitré imprese armatoriali operanti nel porto di Genova. L’operazione venne completata con la modifica, da parte della Società Esercizio Bacini, della propria ragione sociale, che si trasformò in Cantieri del Tirreno.
Sarà la nuova OARN (Officine Allestimento e Riparazioni Navi), nel nuovo contesto di Ente Bacini, ad allestire i due grandi transatlantici Roma e Augustus, entrambi commissionati dalla Navigazione Generale Italiana. Fu proprio in seguito all’ordine dei due transatlantici che venne iniziata la costruzione, di un terzo bacino alle Grazie, lungo 240 metri e inserito fra i due già esistenti. I lavori terminarono nel 1928 e furono eseguiti senza alcuna interruzione del lavoro nei due bacini laterali.
Varato nel 1926 nei Cantieri Ansaldo di Sestri Ponente, madrina la figlia del Duce, Edda Mussolini, l’Augustus era all'epoca la più grande e veloce nave passeggeri sulla rotta tra l'Europa e il Sud America, e con le sue 32.000 tsl e oltre la più grande motonave passeggeri al mondo. A differenza della gemella Roma, equipaggiata con propulsione a vapore con caldaie e turbine, essa era invece dotata di propulsione diesel con quattro motori Savoja MAN a 2 tempi doppio effetto che sviluppavano 28.000 CV di potenza, consentendo alla nave di raggiungere la velocità di 20 nodi. Gli interni erano decorati in stile neobarocco e liberty, con la partecipazione tra l'altro del pittore Galileo Chini. L'Augustus fu la prima nave ad avere un ponte lido con piscina all'aperto. Esso rimane tutt'oggi il più grande transatlantico a propulsione diesel a quattro eliche mai costruito.
Era iniziata la stagione dei “levrieri del mare” che culminò nel 1931 con il varo del super transatlantico Rex. La costruzione del Rex richiese, a causa della sua stazza e della sua lunghezza, ben 268 metri, notevoli opere di adattamento del porto di Genova, destinato ad ospitarlo per l’allestimento e per i lavori di manutenzione che per contratto dovevano essere fatti almeno ogni due anni. Per facilitare le operazioni di ingresso e di uscita fu necessario tagliare una parte del Molo Vecchio, mentre sia l’insufficiente fondale del Ponte dei Mille, dove sorgeva la Stazione Marittima, sia l’accresciuto traffico passeggeri, rese necessaria la costruzione di una nuova Stazione Marittima sull’adiacente Ponte Andrea Doria. Il lavoro però più impegnativo fu l’allungamento del bacino di carenaggio n. 3 delle Grazie, che lo rese a lavori terminati il bacino più grande del Mediterraneo.
Per ospitare il Rex le autorità portuali decisero di allungare il bacino n. 3 di 20 metri, mediante un prolungamento oltre l’estremità a monte. I lavori iniziarono nel 1929 con l’escavazione e la costruzione del nuovo tronco, ultimato il quale si demolì il diaframma interno in modo tale da eseguire i lavori senza dover sospendere il servizio del bacino.
Come i due bacini precedenti, anche il bacino n. 3 poteva essere suddiviso in sezioni più piccole, prestandosi dunque sia per carenaggi per le unità più grandi, sia per carenaggi abbinati di unità più piccole. Un complesso di turbopompe di oltre 2000 cavalli permetteva l’esaurimento delle vasche per 40.000 t d’acqua all’ora, mentre una sottostazione elettrica da 750 HP era in grado di fornire energia elettrica ed aria compressa per tutti i servizi ausiliari occorrenti alle navi in bacino. La poppa a sbalzo di 15 m del Rex fu necessaria per poter avere un ponte più lungo e una carena più corta, in grado di poter entrare in bacino.
Con la Seconda guerra mondiale Genova e il suo porto subiscono danni ingenti. Un primo bombardamento navale inglese del 1941 colpisce duramente in particolare gli stabilimenti industriali della Val Polcevera e il bacino portuale. Le bombe dirompenti lanciate dai futuri alleati colpiscono in particolare i bacini delle Grazie e Molo Giano, danneggiando seriamente le strutture dell’OARN e dell’Ente Bacini. Ma saranno i bombardamenti e le operazioni tedesche a rendere il porto pressoché inagibile.
Nel dicembre ‘45, il neopresidente del Consorzio Carlo Cattaneo scriverà come i quattro bacini di carenaggio (il bacino n. 4 era stato costruito nel 1937) fossero completamente distrutti e inutilizzabili, come pure 33 delle 45 officine per la riparazione e l’allestimento del naviglio. Delle 239 gru che dotavano le banchine ne erano rimaste efficienti solo 6. Inoltre, i tedeschi, al momento della Liberazione, avevano piazzato per la totale distruzione dello scalo genovese 73 mine subacquee ad alta potenzialità distruttiva che fortunatamente non riuscirono a far brillare. Il lavoro di sminamento fu estremamente complesso e delicato e si protrasse per anni. Fu proprio a causa delle mine e dell’inagibilità dei bacini che l’Ansaldo, dall’Andrea Doria in poi, allestirà le proprie navi direttamente a Sestri Ponente.
Con la pace l’opera di ricostruzione iniziò da subito con una certa intensità. Già nel 1948 la ricostruzione delle infrastrutture principali è terminata, nel 1951 l’attività del porto era tornata ai valori dell’immediato anteguerra e nel1962 veniva costruito il sesto bacino di carenaggio.
Agli occhi di un visitatore degli anni Sessanta Genova dal mare si apriva, muovendosi da levante a ponente, prima sul quartiere fieristico, costruito tra il 1957 e il 1962; poi varcato il Molo Cagni, i cinque bacini di carenaggio alle Grazie. Poco più in là gli impianti ricostruiti e potenziati dei Cantieri del Tirreno e dell’OARN, poi Molo Vecchio con i fondali aumentati e le banchine allargate, per arrivare infine a Palazzo San Giorgio, sede del Consorzio Autonomo del Porto e testimonianza secolare dello stratificato lavoro di generazioni e generazioni di lavoratori che ci hanno condotto fino ad oggi.
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