28 settembre
Tra “rivoluzione manageriale” e “darwinismo istituzionale”
Agostino Rocca e il capitalismo italiano in epoca fascista (1933-1940)
di Cesare Vagge
Agostino Rocca e il capitalismo italiano in epoca fascista (1933-1940)
di Cesare Vagge
Il fondo archivistico di Agostino Rocca, custodito in copia presso la Fondazione Ansaldo di Genova, rappresenta una delle più preziose e vaste raccolte di documenti storiografici inerenti la storia dell’economia italiana in periodo fascista. Spesso citati per raccontare l’ascesa del grande manager italiano, i documenti dell’archivio Rocca costituiscono una fonte essenziale per comprendere la natura e il funzionamento delle istituzioni economiche dell’Italia fascista, la politica industriale del regime e i rapporti di forze che hanno caratterizzato questa fase fondamentale della storia del capitalismo italiano.
Ce ne racconta Cesare Vagge, dottorando in storia europea moderna presso Merton College, University of Oxford.
SIAC Genova Cornigliano-1937
Leggendo le carte dell’archivio Rocca ci rendiamo conto che gli anni ‘30 rappresentano una rottura con l’assetto istituzionale che ha caratterizzato l’economia italiana fin dall’età Giolittiana. Il capitale finanziario non domina più l’industria italiana. Le tre banche di interesse nazionale, il Credito Italiano, la Banca Commerciale e il Banco di Roma, non detengono più il controllo di industrie chiave come l’Ansaldo, l’Ilva e la Dalmine. Gli istituti bancari sono stati di fatto nazionalizzati e acquisiti dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), il quale ha anche assunto la gestione delle industrie un tempo controllate dalle banche stesse. Protagonisti di questa radicale separazione tra banca e industria e d’indiretta gestione statale di gran parte dell’economia italiana sono proprio i manager pubblici come Agostino Rocca, Oscar Sinigaglia e Francesco Giordani. L’ascesa di Rocca e dei suoi colleghi costituisce l’avvento in Italia di ciò che il filosofo James Burnham e lo storico Alfred Chandler Jr. hanno definito “la rivoluzione manageriale”, cioè il consolidamento di tecnici salariati come i maggiori protagonisti della gestione aziendale nei paesi capitalisti più avanzati. Gli ambiziosi progetti di Rocca e dei suoi colleghi riguardo alla riorganizzazione della siderurgia nazionale tuttavia suggeriscono che L’IRI ambisse non solo a gestire, ma a ridimensionare radicalmente la struttura di alcuni settori chiave dell’economia italiana. L’IRI non è dunque solo ed esclusivamente un ente di salvataggio e gestione di attività economiche un tempo appartenente all’iniziativa privata, ma anche un innovativo strumento di pianificazione economica, dedito a modernizzare industrie come la siderurgia e la meccanica sia per renderle più competitive sul piano internazionale, sia per rispondere alle esigenze politiche nazionali. L’IRI di Agostino Rocca e del suo superiore Alberto Beneduce rappresenta dunque una varietà italiana di quello che il sociologo inglese Ralph Milliband ha definito lo “stato autonomo”, uno stato che senza mettere in discussione i fondamenti dell’economia capitalistica, si serve di alcuni elementi di piano per garantire lo sviluppo di quelle attività economiche di base che l’iniziativa privata non è in grado di gestire e rinnovare da sé. Iniziative dell’IRI come il piano settoriale per la siderurgia bellica speciale (1934), la costituzione della FINSIDER e il piano “autarchico” per la siderurgia nazionale (1937) sono appunto da inquadrare nella ratio dello stato pianificatore.
Relazione di A. Rocca sui programmi di riorganizzazione industriale in corso presso Ansaldo e SIAC, 1940
Dalle carte di Agostino Rocca apprendiamo inoltre che il capitalismo italiano degli anni ‘30 è un’economia fortemente regolata e burocraticizzata, caratterizzata sia da una distribuzione policentrica del potere politico-economico, sia da un vero e proprio “darwinismo istituzionale”. Nell’ambito del tentativo fascista di sottoporre l’economia nazionale alla disciplina dello stato, le istanze modernizzatrici dell’IRI e dei suoi tecnici si scontrano con il conservatorismo dei vecchi capitani d’industria privata sopravvissuti alla Grande Depressione. Lo stato corporativo fascista, formalmente istituito nel 1934, diventa la sede istituzionale all’interno della quale le due fazioni si confrontano nel corso della preparazione dei cosiddetti piani “autarchici”, che coinvolgono sia i manager dell’istituto, sia gli esponenti dell’industria privata, sia i rappresentanti dei sindacati fascisti. I risultati di tali accesi dibattimenti sono spesso soluzioni di compromesso come il piano autarchico per la siderurgia del 1937 che impegna l’IRI a modernizzare le acciaierie sotto il suo controllo, ma preserva la struttura di quella parte del settore rimasta in mano all’iniziativa privata. Altra importante componente istituzionale di questa policentrica economia regolata sono i ministeri economici come quello delle Corporazioni e la loro burocrazia, la cui lentezza ed asservimento ad interessi conservatori spesso intralcia le iniziative dello “stato autonomo”. Tale policentrismo continuerà a caratterizzare la politica industriale del fascismo per l’intera durata del secondo conflitto mondiale, impedendo dunque sia la realizzazione integrale dei progetti dell’IRI, sia il consolidamento di un’economia di guerra adeguatamente centralizzata. Fino alla fine della guerra, Rocca continuerà a lamentarsi di tale policentrismo, sostenendo la necessità di centralizzare le responsabilità in organismi tecnocratici come l’IRI anche in ambito ricostruttivo. Alcune delle iniziative di pianificazione settoriale promosse dall’istituto in periodo fascista saranno proprio realizzate nel corso della ricostruzione, primo fra tutti il Piano Sinigaglia per la siderurgia, ultimato nel 1954 con l’apertura dello stabilimento di Genova Cornigliano.
L’archivio di Agostino Rocca rappresenta dunque un insieme di documenti storiografici veramente preziosi per lo studio della politica economica del fascismo e per la storia del capitalismo italiano. Il punto di vista di Rocca ci consente di constatare che l’interventismo statale degli anni ‘30 ha segnato l’ingresso dell’Italia in quello che l’economista inglese Andrew Shonfield ha definito il capitalismo moderno, un’economia di mercato all’interno della quale l’equilibrio tra potere privato e potere pubblico è stato radicalmente spostato a favore di quest’ultimo. Allo stesso modo, le carte di Rocca ci ricordano le contraddizioni di tale sistema, il quale ha parzialmente favorito le istanze modernizzatrici e pianificatrici dell’IRI, ma ha anche protetto i privilegi di una classe imprenditoriale incapace di adeguarsi alle esigenze del progresso tecnico. Alla radice di tali contraddizioni vi è proprio il policentrismo del dirigismo fascista, il quale ha spesso causato inutili frizioni tra diversi enti politico-economici ed ha impedito una totale subordinazione dell’iniziativa privata all’interesse pubblico.
Acciaierie SIAC Genova Cornigliano-1937
Fondazione Ansaldo
Villa Cattaneo dell’Olmo, Corso F.M. Perrone 118, 16152, Genova, Italia
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