Durante il primo incontro per Next Generation EU per l’Italia organizzato lo scorso 22 giugno a Milano dall’avv. Andreoli con il patrocinio di Fondazione Cariplo, il direttore di Fondazione Ansaldo, ha preso parte a uno dei 3 panel illustrando l’impegno della Fondazione verso i giovani e alcune proposte che possano contribuire a offrire loro orientamenti per soddisfarne le aspirazioni verso un percorso di studi mirato e il mondo del lavoro.
È fondamentale credere nelle nuove generazioni, dare loro fiducia affinché anch’essi possano averne in sé stessi e nelle loro aspettative lavorative, portandoli così a coltivare una visione positiva del loro futuro, oggi alquanto incerto apparentemente con limitate prospettive. In questo contesto le tecnologie digitali possono essere di grande beneficio, senza però mai trascurare la socialità e il confronto in presenza. Nel seguito una sintesi dell’intervento.
Fondazione Ansaldo è il più grande archivio di impresa in Italia. Conserva la memoria di un passato di grande rilevanza storico-culturale che trae le sue origini nella volontà cavouriana di dare una decisa connotazione industriale al costituendo Regno d’Italia. Eppure, sebbene mantenga il nome dell’impresa che l’ha generata quarant’anni fa, questa fondazione non rientra più all’interno di un’organizzazione aziendale, quindi è a tutti gli effetti un ente che non è parte di una missione industriale ancora operante. Come si accorda quindi il mio intervento in un panel che parla di futuro, di next generation, di giovani?
È necessaria quindi una premessa. Dal mio arrivo, due anni fa, ho definito la Fondazione Ansaldo una “fabbrica della memoria”: dall’Ansaldo, nel corso del tempo, si sono sviluppate tante filiere produttive che hanno rappresentato l’eccellenza italiana a livello mondiale - e lo sono ancora oggi - ed è la conoscenza di questo passato la materia su cui far riflettere i nostri interlocutori e le comunità, a partire da quella in cui si trova la sede delle Fondazione, la Val Polcevera, con l’obiettivo di veicolare la memoria storica che conserviamo per ragionare sul presente e proporre “ponti” solidi per il futuro.
Alcuni esempi concreti: l’anno scorso era il novantesimo anniversario del varo del transatlantico Rex, ricordato anche da Fellini, in un’emozionante quanto falsa rievocazione storica, nel film Amarcord, con i giovani che aspettano il suo passaggio seduti sulla spiaggia di Rimini al chiaro di luna. Il Rex è la storia di una nazione capace di realizzare un transatlantico di 268 metri di lunghezza (due campi di calcio), alto quanto un palazzo di quindici piani, largo 30 metri, in grado di tenere una velocità media di 30 nodi (oltre 50 km orari). Un’opera ingegneristica arricchita da una serie di invenzioni incredibili, la cui eccezionalità verrà sugellata con la vittoria, nel 1933, del Nastro Azzurro, il premio per la più veloce traversata atlantica. Con questo esempio raccontiamo del coraggio, di quello che è il coraggio dell’eccellenza. Il coraggio dell’eccellenza, di una Nazione, quindi di un popolo, quello italiano, che da questo punto di vista, come ha precedentemente accennato il Cardinale Zuppi, nei momenti più difficili dà il meglio di sé.
Il Rex in costruzione nei Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente
I progettisti, i tecnici, gli operai del Rex avevano posto l’asticella oltre il possibile, per la tecnologia disponibile all’epoca, riuscendo a realizzare una nave meravigliosa, tramandando un messaggio valoriale molto importante per tutti, soprattutto, per le giovani generazioni: il coraggio di osare.
Lo stesso coraggio riscontrabile anche nella storia dello SVA, il celebre biplano con cui d’Annunzio volò su Vienna progettato e realizzato soltanto tredici anni dopo il primo esperimento di volo realizzato dai fratelli Wright e che nel 1920 venne utilizzato da Arturo Ferrarin per volare da Guidonia a Tokyo in trenta tappe. Al coraggio dell’eccellenza si unisce quindi il valore dell’impresa oltre il limite, quelle di D’Annunzio e di Ferrarin.
Ritengo, infatti, che il progresso dell’uomo sia sempre il risultato degli obiettivi maggiormente sfidanti che esso stesso si pone. La storia di Ferrarin rivela anche l’importanza di avere una visione: quella di pianificare una missione così complessa per quei tempi. Una visione propria anche di imprenditori come Ferdinando Maria Perrone che, nei primi anni del Novecento, fa sua - e dei suoi eredi - l’Ansaldo, con un’impressionante scalata azionaria; e non solo, rende la società un gruppo competitivo a livello globale ma, precursore di una sensibilità decisamente attuale, coglie l’importanza ai fini produttivi della comunicazione e per questo rileva il maggior quotidiano genovese «Il Secolo XIX» e della finanza, fondando una propria banca. Un altro capitano d’industria legato alle vicende ansaldine, Daniele Luigi Milvio, una persona molto riservata ma lungimirante e di grande coraggio, nel periodo delle Brigate Rosse trasferisce la sede operativa del Gruppo Ansaldo dallo stabilimento di Cornigliano a quello di Sampierdarena, dove maggiore era la presenza dell’organizzazione terroristica, per infondere un forte messaggio di unità industriale alle maestranze; più tardi proporrà e gestirà il primo piano energetico nazionale, oggi tema di grandissima attualità.
Questi esempi sono indicativi dei valori che può trasmettere la memoria storica e l’importanza di divulgarla, soprattutto ai giovani. Recentemente la Fondazione ha svolto il ruolo di facilitatore a supporto dell’associazione ALPIM, al progetto “Mille Ponti” dedicato agli studenti della Val Polcevera. Con l’ausilio di un questionario, sono stati intervistati gli studenti, circa 1000 ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado, che vivono e studiano in questa valle che conta una popolazione di 80 mila residenti, una piccola citta, e che ha vissuto e vive tuttora molte transizioni e trasformazioni. A inizio Ottocento era il ritiro delle grandi famiglie patrizie genovesi, successivamente è diventata il cuore industriale di Genova, fino a divenire un colosso industriale manifatturiero su scala internazionale. All’industrializzazione ha fatto seguito il fenomeno inverso, la deindustrializzazione, che ha portato con sé diversi stravolgimenti urbanistici con impatti scoiali, fino ai temi odierni sulla sostenibilità.
Gli esiti del questionario, indirizzato in particolare sui temi della digitalizzazione, hanno messo in luce il legame fortissimo dei ragazzi con il territorio, l’85% non vorrebbe vivere altrove ma ciononostante l’85% non vede futuro di lavoro in Val Polcevera. “E il digitale? Possiedi uno strumento digitale, uno smartphone, un PC, un tablet?” Praticamente il 95% risponde affermativamente. “Quanto tempo passi su questi strumenti?” La risposta è “drammatica”: oltre otto ore e spesso solo per giocare, quasi una dipendenza.
Sono stato Chief Technology Officer di Finmeccanica, pertanto sono sicuramente uno sponsor dello sviluppo tecnologico. Ritengo, però, che la tecnologia debba rimanere sempre un mezzo e mai un fine; oltre ai grandi benefici che la digitalizzazione sta producendo, il digitale sta però scollegando i ragazzi da quella che è la realtà, bisogna allora considerare anche gli effetti collaterali di questa grandissima opportunità. I risultati dell’indagine fanno sorgere altri interrogativi. In Val Polcevera non mancano infatti opportunità di lavoro, come l’Istituto Italiano di Tecnologia, il Distretto Tecnologico della Liguria, la cantieristica navale, Ansaldo Energia, l’Academy Cyber e il supercalcolatore di Leonardo; c’è persino una start-up che lavora sul grafene, quindi con materiali tra i più avanzati. Tutte queste realtà i ragazzi non le conoscono? Non ne sono attratti?
È, forse, importante ricreare un senso di comunità con una “infrastruttura di incontro” in cui scuola, famiglia e comunità ritornino a essere luoghi di aggregazione sociale, integrandosi con la nuova dimensione digitale, dove i giovani possano maturare prospettive migliori di quelle emerse dalle loro risposte, acquisire maggiore consapevolezza sul futuro che il territorio potrebbe offrire loro ed, infine, vedere la formazione quale risultato dell’impegno reciproco di questi agenti socializzanti, sfruttando in questo contesto le opportunità e i benefici che la digitalizzazione offre.
In questi tre anni abbiamo avuto la fortuna, nonostante il Covid, di avere in Fondazione tantissimi giovani universitari. Per loro la scuola e il lavoro sono ancora due realtà separate. Quando arrivano in Fondazione lavorano con strumenti digitali, per contribuire alla digitalizzazione e rendere fruibile a tutti - on-line - questo patrimonio di conoscenza, ma soprattutto si confrontano con gli aspetti pratici del lavoro. In questi tirocini trovano un qualcosa che non sapevano di poter sperimentare.
Quindi l’impressione è che l’iterazione scuola-lavoro, e tutto il corollario, probabilmente allo stato attuale non funzioni nel migliore dei modi, e che qualche cosa da ripensare ci sia, soprattutto per dare fiducia a questi giovani; fiducia che, a mio avviso, è fondamentale per creare quello spirito di intraprendenza e di iniziativa che è essenziale per fare impresa, per avere coraggio, per avere visione, per sfidare anche oltre il limite. Noi – Fondazione Ansaldo – rimaniamo una fondazione d’impresa che si occupa di cultura d’impresa che, se vogliamo, è il nostro primario obiettivo: l’impresa esiste e prospera se si ha visione, coraggio, spirito di intraprendenza e… fiducia.
Non tutti debbono necessariamente aspirare a fare l’astronauta o il professore; rivedere la formazione e la professionalizzazione non più in termini verticali e quasi gerarchici (l’università, il liceo e gli istituti tecnici, le scuole secondarie) ma, piuttosto, riposizionarli su un piano orizzontale, cercando di far comprendere ai giovani qual è il loro reale interesse e impegnarsi per realizzare le loro aspirazioni nel futuro. Raccontare non solo le grandi professioni ma anche le professionalità che oggi mancano e che le industrie, le imprese ricercano con fatica potrebbe essere un’altra iniziativa da sviluppare in quella “infrastruttura di incontro” di cui dicevo prima.
Si è detto del coraggio dell’eccellenza, un altro valore importante che cerchiamo sempre di veicolare è proprio quello di avere coraggio. Noi - senior - abbiamo una responsabilità perché la nostra seniority e la nostra esperienza ci impongono di avere visione e quindi valutare ogni investimento non solo in termini prioritariamente economico-finanziari di breve termine, ma anche affinché ci sia un effettivo investimento sulle nuove generazioni, partendo dal presupposto che le nuove generazioni garantiscono futuro, devono inevitabilmente imparare e possono sbagliare. È dunque altrettanto importante essere consapevoli che tali investimenti daranno risultati sul lungo periodo e non nell’immediato, ma offrono sin da subito fiducia e certezze ai giovani.
In conclusione vorrei citare quattro risposte al questionario sopracitato, scritte da ragazzi di 13-16 anni: mostrano una gamma di sensazioni che vanno dall’incertezza a un atteggiamento disincantato, al rifiuto di pensare a una programmazione per il proprio futuro.
Alla domanda: “Che cos’è per voi il futuro?”
Prima risposta: “Ciò che non è ancora accaduto o che deve accadere; un misto di casualità, agenti esterni e volontà”.
Seconda risposta: “Il futuro è qualcosa di inaspettato; ho paura di quello che succederà”
Terza risposta: “Il futuro è un domani e nulla per ora”
L’ultima: “Futuro: secondo me il futuro si basa su quello che decidiamo di fare in quel momento e da come vogliamo viverlo.”
Due tirocinanti al lavoro nella Fototeca di Fondazione Ansaldo
Al panel hanno preso parte, oltre a Lorenzo Fiori, Direttore Fondazione Ansaldo, Francesco Rutelli, Presidente Anica, Presidente Soft Power Club («Sostenibilità, il tempo delle innovazioni, non del greenwashing»), Gregorio Consoli, Managing Partner Chiomenti («I giovani e le professioni. Gli studi legali e le nuove generazioni»), Remy Cohen, Economista («Giovani imprese e sviluppo nuovi rapporti tra pubblico e privato»), Giuseppe Castagna, CEO Banco BPM («Il ruolo sociale di un grande gruppo bancario per il futuro delle nuove generazioni») e Marco Gerevini, Consigliere delegato “Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore” – Fondazione Cariplo («Social impact con valenza imprenditoriale»).